10 ottobre 2017

SE BOVISA FOSSE CENTRO …

Abitare per conoscere le periferie, poi parlare


Chi parla di ossessione delle periferie è mai venuto a fare un giro in una delle periferie di cui parla? Perché il primo passo per conoscerle è smettere di accomunarle e considerarle invece una per una. Per esempio noi, Pina e Tina che abitiamo in Bovisa, quando scendiamo alla stazione Trenord successiva, Quarto Oggiaro, ci accorgiamo di un degrado, se lecito dire, peggiore rispetto alla nostra stazione. Ci si rende conto purtroppo che se Bovisa è periferia rispetto a Cadorna, Quarto Oggiaro è periferia rispetto a Bovisa. La stazione di Quarto Oggiaro è mortificata dai pavimenti luridi, dall’illuminazione quasi assente, dalla mancanza di personale, dagli schermi rotti o imbrattati.

05grazzini33FBL’unica cosa che probabilmente è comune alle periferie è lo stato di abbandono. Mentre il centro, dal Duomo alla Scala, da Palazzo Reale al Castello, dal palazzo dell’Arengario alla Galleria Vittorio Emanuele, è stato tirato a lucido e di volta in volta ulteriormente abbellito con verde effimero, come fosse un salotto a cielo aperto, la periferia che noi conosciamo a fondo, perché la viviamo, la nostra Bovisa, è rimasta lo sgabuzzino della città.

Al posto delle fabbriche dismesse o abbattute, che in passato hanno dato un’identità industriale al quartiere, oggi abbiamo enormi spazi vuoti e squallidi (alcuni di proprietà del Comune) che attirano masserizie, rifiuti e topi. Ma non l’attenzione degli urbanisti. Noi che abitiamo qui abbiamo fatto quello che avrebbero dovuto fare loro: abbiamo non solo censito i luoghi del nostro quartiere, ma li abbiamo raccontati a parole e immagini nel documento Il cielo sopra Bovisa, intitolato così perché il quartiere non è oppresso dai palazzoni dormitorio che caratterizzano altre periferie.

Per le strade di Bovisa, dalla stazione alle case Mendini sfitte, dallo scheletro della mancata casa dello studente alla “terra bruciata” della defunta Triennale, dalla archeologia industriale in abbandono della Goccia alla archeologia industriale ormai inutilizzata della Ceretti Tanfani, fino a qualche anno fa sede della facoltà di Architettura (ma arriva o non arriva la promessa università cinese?), non abbiamo mai incontrato signori del Palazzo che venissero a vedere con i loro occhi quello che pensano di conoscere guardando Google Maps.

Se Bovisa fosse trattata come centro, il terribile parcheggio chiamato piazza Alfieri sarebbe interrato da anni e in superficie avremmo un esotico parchetto con le palme. Le due vie, Candiani e Andreoli che portano alla Facoltà di Design e che sono strette, affollate di automobili e spesso invase da mobili abbandonati, sarebbero pedonalizzate per permettere agio agli studenti, che oggi sono costretti a fare lo slalom e procedere rasente ai muri. Se Bovisa fosse centro, i locali potrebbero mettere i loro dehors sui marciapiedi, che non sarebbero punteggiati da cacche e cartacce. Se fosse centro, ci sarebbe un cinema-teatro, una piscina, lo spazio verde della Goccia sarebbe il nostro Parco Sempione, gli studenti del Politecnico resterebbero a vivere qui dove studiano e la Bovisa sarebbe una piacevole “cittadina” multietnica.

Se Bovisa fosse centro, potrebbe far conto sulle competenze della Facoltà di Design che la abita, per progettare il restyling delle piazze, dei negozi, dei luoghi pubblici. Collegandosi a quello che, di positivo, sta già succedendo nel quartiere. Per esempio, alla nuova vita della ex fabbrica Livellara riconvertita in un locale diventato famoso a Milano, oppure al coworking Makers Hub o ai nuovi orti di Cascina Albana accanto a quelli “storici” di Coltivando. Senza dimenticare l’importanza culturale del Libraccio e della Biblioteca pubblica.

Se Bovisa fosse bella e curata come merita, chi oggi teorizza intorno alle periferie senza conoscerle, forse verrebbe ad abitarla. Ricavandone magari anche vantaggi: qui la vita costa meno e i rapporti umani sono rimasti più semplici e più veri.

Francesca Grazzini e Luciana Bordin



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