4 ottobre 2017

CITTÀ METROPOLITANA E CONSIGLIERI DEBOLI

O energie dall'interno o nulla


Il 20 settembre scorso il Consiglio della Città Metropolitana di Milano ha approvato all’unanimità una mozione con la quale si denuncia che “la Città Metropolitana di Milano, oltre alle difficoltà costitutive condivise con tutte le altre Città metropolitane, vive una condizione specifica di deficit strutturale”. Si chiede quindi al Governo, al Parlamento e al Presidente della Repubblica “la proroga dei termini di approvazione del bilancio” e “dei contratti a tempo determinato” del personale precario; “un intervento immediato per garantire le risorse necessarie per l’approvazione del bilancio preventivo”; e “un intervento strutturale per garantire il rispetto dell’art. 119 della Costituzione”.

07natale32FBÈ l’ammissione che le Città Metropolitane, le Province e gli stessi Comuni non sono messi dallo Stato centrale nelle condizioni di potere funzionare: la loro “autonomia finanziaria e di spesa”, sancita dalla Costituzione, viene fortemente limitata da una politica generale di tipo liberistico tendente a ridurre drasticamente il ruolo sociale della Repubblica democratica fondata sul lavoro, nonché da interventi di tutti i governi degli ultimi vent’anni mirati a tagliare indiscriminatamente le spese sociali e a ridurre drasticamente gli investimenti necessari per garantire diritti inalienabili (lavoro, salute, istruzione,ambiente) e sviluppo equilibrato e sostenibile.

In modo particolare le neonate Città Metropolitane, assieme alle Province rimaste, si configurano come Enti Territoriali intermedi (tra Regione e Comuni) che, non eletti direttamente dal “popolo sovrano”, ma di “secondo livello”, cioè nominati dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni dell’area territoriale, somigliano più a Comitati di gestione o Consigli di amministrazione di aziende che a Istituzioni democratiche locali. Con l’aggravante che gli “amministratori delegati” (il sindaco della Città Metropolitana e il presidente della Provincia) lo diventano automaticamente in quanto sindaci dei Capoluoghi. Emerge quindi con evidenza lapalissiana che questi Enti non solo diventano vasi di coccio tra quelli di ferro (Regione e Stato centrale), ma sono stretti nella morsa del grande Comune capoluogo che domina su tutti gli altri comuni (piccoli e piccolissimi) che, dispersi ed emarginati, si illudono di potercela fare da soli!

Si crea quindi una grande voragine istituzionale del nostro sistema democratico: l’insignificanza, se non proprio l’abrogazione di fatto, degli Enti locali e territoriali intermedi e sovra comunali che, con l’esito referendario del 4 dicembre 2016, sono stati riconfermati come organi costituzionali dello Stato e della Repubblica.

Si sono così rafforzate le ragioni di coloro che ritengono incostituzionali gli articoli fondamentali della legge Delrio. Con Valentino Ballabio e Ugo Targetti, chi scrive è intervenuto su ArcipelagoMilano più volte su tali questioni e ha anche firmato un ricorso giuridico.

È da riprendere con vigore la battaglia per il diritto pieno alla sovranità popolare, per il ripristino della legalità costituzionale, per l’applicazione coerente dell’art. 5 Cost. (autonomie locali e il previsto “più ampio decentramento amministrativo”) e per l’abrogazione del cosiddetto “pareggio di bilancio” che strozza le istituzioni pubbliche e suona come una campana a morte per lo Stato sociale.

Sarebbe auspicabile che i consiglieri metropolitani e comunali e i sindaci dimostrassero una consapevolezza maggiore e si assumessero la responsabilità, anche tramite le loro associazioni, di denunciare la gravissima situazione di crisi del sistema di funzionamento del governo locale e di deriva centralistica e oligarchica del potere nazionale, e anche di quello regionale, dentro una visione più ampia e strategica del ruolo degli Enti locali e della democrazia di base e partecipata.

Si assiste invece a prese di posizione che accettano il quadro esistente limitandosi a chiedere risorse per tirare a campare, e a ribadire la logica di una governance del territorio di tipo volontario e quasi privatistico che si esplica in “tavoli” e “alleanze” tra istituzioni pubbliche ed enti ed associazioni private . È quello che si teorizza nel documento del 26 luglio 2017 del cosiddetto Tavolo Metropolitano milanese (con Comune di Milano, Università, Camera di Commercio, Sindacati, Associazioni professionali e altre organizzazioni sociali economiche e culturali), dal pomposo e discutibile titolo Milano metropolitana in assetto di marcia: un’opportunità per l’Italia.

Vengono infatti evidenziate in premessa le finalità del documento: “Compiere un riesame dell’assetto e delle prospettive d’azione di Città metropolitana”; “rafforzare un’alleanza tra istituzioni locali, forze economico-sociali e del terzo settore, mondo associazionistico, al fine di supportare politiche e progetti comuni e di concertare con Governo e Regione misure idonee a valorizzare lo specifico ruolo istituzionale di Città metropolitana quale Ente preposto al governo e allo sviluppo strategico del territorio, così come previsto dalla L.56 /2014 e L. R. 32/2015”.

Come si vede la legge Delrio, “per quanto migliorabile in molti aspetti” – come vi si afferma di passaggio – viene accettata , nonostante la sua bocciatura indiretta ma inequivocabile nel referendum costituzionale del 4 dicembre scorso. Viene ritenuta valida anche la Legge regionale lombarda (la n. 32/2015) che riduce ulteriormente le funzioni e i compiti della Città Metropolitana, anche rispetto alla stessa Delrio.

Infatti, ritornano alla Regione Lombardia molte attribuzioni, già a suo tempo conferite all’ex Provincia di Milano, nell’ambito delle materie riguardanti agricoltura, foreste caccia e pesca, politiche culturali, ambientali ed energetiche. Un autentico accentramento regionale alla faccia della “messa in marcia” della Città Metropolitana!

Sono gli stessi consiglieri metropolitani a volere – come affermano nel documento – un “Ente leggero” e al servizio dei Comuni. Tra tavoli, confronti, alleanze di varia natura e di interessi (sempre gli stessi prevalenti!), e subalternità a Stato centrale e Regione, diventa illusorio credere che si possa con tanta leggerezza essere ente al servizio dei Comuni, che invece saranno ancor più abbandonati a loro stessi.

Si continua a non tenere in considerazione la “volontà popolare”, e a non ascoltare quello che si muove e vive nella società civile e quello che esprime la cittadinanza attiva con iniziative e proposte per migliorare la qualità della vita quotidiana e delle istituzioni democratiche.

Giuseppe Natale



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