4 ottobre 2017

MILANO APERTA AL MONDO MA CHIUSA AL VICINATO

Un raro e vivo dibattito sulla contraddittoria realtà metropolitana


Come nel vissuto quotidiano si impone il tipo umano “assorto”, impiantato al suolo intento nel frenetico solletico verso una tavoletta, così la città di Milano vive da protagonista questa fase della modernità. L’assorto è convinto con ragione e con soddisfazione di essere collegato costantemente con tutto il mondo: cosa certamente vera tuttavia al prezzo di perdere il contatto con quello che avviene nel raggio di tre metri, compresa la eventuale presenza di persone fisiche suoi simili.

06ballabio32FBQuesta contraddizione è emersa con chiarezza nel seminario svoltosi il 29 settembre presso l’Università Cattolica (*) che ha confrontato diverse posizioni e proposte riguardo le prospettive del potere locale con riferimento particolare alla Città Metropolitana di Milano. Se da un lato si sono infatti sottolineate le potenzialità che Milano esprime per innovazione e presenza sulla scena globale, dall’altro si sono riscontrate le criticità che ricadono sull’area immediatamente circostante, a cominciare dalle periferie interne sino a ricomprendere pressoché l’area centrale della Lombardia.

Il riscontro a livello istituzionale di tale divario è ben osservabile nella condizione disperata in cui è ridotta a soli due anni dal suo avvio la Città Metropolitana milanese, relegata a un ruolo marginale, ininfluente sui processi di governo esercitati dal potere esclusivo del Comune capoluogo. Inoltre, l’irrilevanza politica ed istituzionale si riflette sulla situazione finanziaria: le stringenti difficoltà della finanza pubblica conducono a pesanti “tagli” (dolorosamente denunciati dalla vicesindaca Arianna Censi, per altro impegnata in una zelante difesa dell’Ente così com’è) che ricadono per “selezione naturale” sui livelli più deboli e meno visibili.

Pertanto, la tendenza accentratrice, avviata dalle amministrazioni di centrodestra e proseguita senza soluzione di continuità da quelle di centrosinistra, porta il Comune di Milano a marciare da solo verso una (sperabilmente non effimera) stagione di gloria e potere, sostanzialmente impermeabile al confronto e alla condivisione con i Comuni dell’hinterland e dell’ampia fascia circostante.

Il recente risultato elettorale di Monza e Sesto San Giovanni è indice di una situazione di divario e disagio che fa riflettere. A sua volta Monza porta pesanti responsabilità: ha voluto la Provincia per separare una propria Camera di Commercio ora invece – per la serie tutta brianzola del “fa e desfà tut laurà” – ricongiunta con quella di Milano e Lodi!

Per la storia il vizio milanocentrico non è certo una novità. Tuttavia, nella “prima repubblica” il ruolo della Provincia, già allora debole nei confronti del capoluogo (come sottolineato dal direttore del Cento Studi PIM Franco Sacchi), era di fatto sostenuto dai partiti politici che avevano il loro punto di forza nelle Federazioni Provinciali e che pertanto esercitavano informalmente ma sostanzialmente una funzione di governo dell’area vasta. In seguito tale funzione è svanita, logorata dalla concentrazione dei poteri verso i Comuni (il partito dei sindaci!) e la Regione anche a causa dell’improvvida modifica del Titolo V del 2001.

Ora ciò che rimane dell’ex provincia, deprivata con la legge Delrio degli organi elettivi nonché di competenze risorse e personale, viene spacciata ipocritamente per città metropolitana! Eppure, come dimostrato cifre alla mano da Ugo Targetti la popolazione mondiale tende a concentrarsi in metropoli sempre più grandi, che si organizzano come sistemi consistenti e integrati. In questo scenario fortemente competitivo come si pone la prima e quasi unica vera realtà metropolitana italiana? (Circa la pletora delle 14 pari titolate, nonché l’allegra proliferazione di mini-province lungo la penisola e le isole, ha facilmente ironizzato Maria Agostina Cabiddu!).

Dunque, se a Milano si concentrano le eccellenze che trainerebbero commercio, cultura e turismo (secondo un principio di sussidiarietà orizzontale, richiamato con enfasi da Gianni Verga) l’assetto istituzionale pecca invece di mancata sussidiarietà verticale e inadeguatezza nella distribuzione dei poteri, con l’effetto di creare squilibri e disfunzioni nel governo del territorio, della mobilità e dell’ambiente che alla lunga potrebbero rivelarsi esiziali. Ma per rimediare in tempo occorrerebbe una riconciliazione tra ragione e politica: purtroppo al momento non è alle viste.

Valentino Ballabio

(*) Dipartimento di Sociologia – Urban Life and Territorial Research Agency (ULTRA), seminario La città metropolitana di Milano e le prospettive del potere locale a cura del professor Andrea Villani.



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