26 settembre 2017

CICLABILE O NON CICLABILE? QUESTO È IL PROBLEMA

Pums 2017: al di là della propaganda politica


Nel febbraio 2013, a venti mesi dall’elezione di Pisapia, il Comune di Milano e l’Assessore alla mobilità Maran presentavano in Sala Alessi la brochure Milano in bici, con un nuovo piano della ciclabilità dell’architetto Fabio Lopez che dalla Provincia era chiamato a risolvere la frammentarietà delle situazione milanese. La rete cittadina infatti era allora una collezione di spezzoni brevi, spesso vecchie piste-manufatto talora inaccettabili: curve a gomito, pavimentazione malconcia, ostacoli pericolosi.

05bacigalupo31FBLopez previde di concentrare le risorse in 5 attraversamenti diametrali da periferia a periferia e 5 circonvallazioni, l’ultima parziale. La rete così disegnata recuperava l’esistente inserendolo in una funzionalità estesa, servendo i punti di interesse civico e i nodi FS-MM. Col pregio di progettare obiettivi a tempi medi, e di sfruttare anche strade non trafficate, in cui era possibile intervenire con corsie verniciate a terra.

Peccato che il PUMS 2015, a due anni di distanza tornasse a disegnare una rete estesa, che cancellava gli attraversamenti previsti in centro storico, ed eliminava tratti facilmente eseguibili, incorrendo in vecchi difetti. Incomprensibili incompletezze, attuazioni difficili, affollamenti e rarefazioni ingiustificate, segnalate da molte osservazioni di associazioni e privati.

La revisione 2017 del PUMS inserisce correzioni e ricuciture opportune, ma ribadisce l’impostazione precedente. La rete ciclabile si sovrappone alla principale con 18 radiali (15 le precedenti), rimangono 3 le circonvallazioni, una la cintura verde, esterna o aderente alle periferie.

Rimangono incomprensibili piccole incompletezze di interventi significativi, affollamenti (Bicocca, Porta Nuova, Magenta, Gallaratese, Quarto Oggiaro), parallelismi ridondanti e rarefazioni ingiustificate (Ventidue Marzo, Libia, Lorenteggio), ricompaiono nel centro i nuovi collegamenti da nord e nordest, solo fino all’esistente San Babila – Cairoli, ma nulla verso sud, nulla nell’attraversamento dei parchi. Continua purtroppo la presenza di numerosi interventi importanti fuori rete, progettati, finanziati, confermati con insistenze future.

Alcune discutibilità sono evidenti. Si insiste a indicare la ciclabilità sui trafficatissimi Bastioni automobilistici, quando la parallela cerchia tranviaria ad est è risolvibile in segnaletica, mentre a sud ed ovest basterebbero pochi piccoli cantieri.

Sono sintomi di disattenzione alla fattibilità che accompagnano un male peggiore. Quello di non cercare quasi mai di proporre la ciclabilità in strade gradevoli minori, sicure e meno trafficate, ma “forzarla” sempre sulla rete principale, tossica e ‘semaforizzatissima’.

La bici va piano, almeno vada dritto, quindi sulle principali. È la tesi di chi trascura polmoni e pericoli esistenti, sicuro che le auto spariscono domani, la mobilità diventi tutta pubblica, ed esige trasformazioni radicali immediate. Se la pista ciclabile sbaraglia soste e stringe la carreggiata, meglio! Un revanscismo che piace anche alle associazioni di categoria.

Ci si dimentica purtroppo della semaforizzazione, che stronca la velocità media della bici, mentre investiamo per asservirla ai tram e migliorare a 15 km/h la velocità media. La bici a 15 km/h ci va già, anche più, basta non fermarla mai o quasi, cosa subito possibile per lunghe tratte solo nella viabilità minore, protetta da stop nelle strade perpendicolari. All’estero “l’autostrada ciclistica” non è altro che una pista larga senza alcun semaforo. Come potremmo farle anche noi, presto e a basso costo?

Oggi la viabilità minore urbana vede ancora presenti numerosi sensi unici contrapposti, introdotti per impedire che le strade minori venissero utilizzate dal traffico di attraversamento, disturbando le zone residenziali. Sono superati dall’idea di Zona 30, estesa ad ampie zone continue di viabilità minore. È evidente che il Comune, difendendo una zona con la moderazione della velocità, ha meno bisogno dei sensi unici contrapposti, addirittura assolutamente inutili nelle strade dedicate prioritariamente ai ciclisti, dove le auto sarebbero costrette ad accodarsi e a non superarli. Basta decretare una ZTL specifica.

La evoluzione ciclistica di Milano, città piccola e densa sarà tanto più veloce e significativa quanto più presto sarà estesa la rete dedicata alla ciclabilità. Oggi il rapporto di costo tra pari lunghezze di pista-manufatto edile rispetto alla corsia individuata in segnaletica è circa di 10 a 1.

Quindi realizzare un chilometro di pista equivale a fare 10 km di corsie. Quali sono allora gli strumenti che prioritariamente possono portare una ciclabilità utile nella città? Sembra evidente cercare di costruire la rete prima con interventi estesi ed economici, collocando quelli costosi in una seconda fase, di completamenti, migliorie e maggiore capillarità.

Le tavole di AMAT purtroppo non definiscono né come si interviene, né quando, o in che fasi. Dicono solo dove, ma purtroppo questi dove sottintendono dei come obbligatori, perché nella sempre trafficata carreggiata della viabilità principale, è giustamente giudicata indispensabile la pista manufatto con la protezione del suo cordolo, largo e rilevato.

Nelle strade principali le corsie sono possibili solo in quelle larghissime; è abbastanza economico inserire piste solo quando esiste già uno spartitraffico pedonale largo, come in corso Lodi, o quando esistono dei controviali dove imporre il limite a 30 km/h, come in viale Zara.

Altrove, in quasi tutte le principali, la pista è pressoché obbligata, ed AMAT mentre studia la sua rete può precisamente prevedere dove. Abbiamo quindi ancora un piano costosissimo, se fatto in tempi medi; inefficace e di lentissima attuazione, se realizzato con i consueti, modesti investimenti annuali. Questa disattenzione amministrativa è ormai cronica, e gravemente colpevole. Qualche esempio, dalle origini.

L’Amministrazione Moratti decise di esordire a Porta Venezia, e così diede alla città sui Bastioni le sole piste possibili in salita, con un cantiere lungo e costoso, trascurando in viale Vittorio Veneto la possibilità di una pista bidirezionale migliore, di esecuzione immediata, economica, piana e protetta dal tram.

Anche la successiva doppia pista di viale Tunisia, costosamente arrampicata sui marciapiedi, conflittuale con la sosta, irregolare nella sezione, fu decisa trascurando la disponibilità di due parallele senza semafori, pronte in sola segnaletica: Felice Casati e Panfilo Castaldi.

I controviali? Si inizia da viale Romagna, dove il solo limite 30 non basta, bisogna garantire la moderazione della velocità. Inutili sopraelevazioni degli incroci con soglie in pietra, allargamenti di marciapiede contrapposti a chicanes, 20 % delle soste eliminate, tanto per mostrare i muscoli. Per diminuire la velocità bastava infatti disegnare soste a spinapesce contrapposte, pronte in una notte.

soglia rialzata

soglia rialzata

Diverse migliaia di euro per finire 1.300 metri; con gli stessi soldi si poteva attrezzare in segnaletica tutta l’asta da piazza Piola a piazzale Corvetto. Le zone 30 programmate sono numerose e purtroppo di piccola dimensione. Perché non basta segnalarle pretendendo il rispetto del codice; bisogna garantire velocità ridotte, spendere in modifiche fisiche, quindi si fanno piccine. A Milano la ciclabilità è sbandierata politicamente. Nei fatti può aspettare.

Lo spreco esecutivo parte dal dettaglio. I cordoli dei marciapiedi sono in cemento. Quelli delle ciclabili, enormi, di granito meraviglioso, per 3/4 vengono interrati. Prefabbricati e appoggiati no? Sul lato ciclabile dovrebbero essere bassi, orientati a 45°, superabili in caso di ostacolo improvviso. Non ci ha mai pensato nessuno. Il fondo è ondulato da non permettere nemmeno 20 km/h. Il collaudo lo accetta.

pavimento non omogeneo

pavimento non omogeneo

Un orientamento tecnico alla spesa pubblica che fa sospettare interessi privati. AMAT è in città; vede come la macchina esecutiva Comunale traduce le sue pianificazioni. Poteva decidere di svoltare verso l’attenzione ai tempi ed alla efficacia della spesa; ma ha deciso di tirare avanti, pianificando in astratto, proprio come prima.

Claudio Bacigalupo

Architetto



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