21 giugno 2017

PROGETTARE LA CITTÀ

Il Politecnico di Milano, gli scali e non solo


Le trasformazioni della città sono al centro dell’interesse della ricerca progettuale che si compie nelle scuole di architettura, caratterizzando in tal senso la pur variegata articolazione degli orientamenti che fanno capo a molteplici filoni culturali. Questa condizione e questa prospettiva affondano le loro radici nella tradizione che origina dagli anni ’60/’70 del Novecento, quando la cultura architettonica italiana – cimentata dalla destabilizzazione dei valori che coinvolgeva la società, la città, la professione – aveva messo in luce le motivazioni complesse e molteplici della ricerca architettonica, cercando di comprenderne i risvolti ideologici, estetici, culturali in senso ampio.

07torricelli23FBLo sforzo compiuto per affermare la fondatezza storica, la dignità politica e operativa della disciplina e dei suoi aspetti conoscitivi, radicati su una storia profonda e comune dell’architettura e degli architetti, era stato ampiamente riconosciuto a livello internazionale; il contributo fondamentale alla nozione stessa di progetto urbano e l’identificazione della città come campo di studio e terreno di rifondazione disciplinare costituivano un riferimento certo, destinato a resistere nei decenni successivi.

Le occasioni recenti di trasformazione della città di Milano sono state oggetto di un’intensa attività di sperimentazione progettuale, che si è cimentata sulle questioni aperte dalla dismissioni degli scali ferroviari, così come delle caserme e delle aree militari, dal destino dell’area espositiva di Expo e dalla previsione dei nuovi insediamenti universitari, tra cui quelli per l’area dei gasometri alla Bovisa. Citando questi argomenti, certo tra i determinanti per il futuro di Milano, si deve sottolineare che essi coinvolgono problemi complessi quali il rapporto fra tradizione e innovazione, e in generale tra il cosa e il come, superando il riduzionismo dei programmi, la settorialità dei punti di vista specialistici, la stessa genericità delle parole d’ordine ricorrenti.

Perciò, senza rivendicazioni di parte, è opportuno proporre all’attenzione il lavoro in ambito universitario, nel suo stretto legame tra didattica e ricerca e nel suo concretizzarsi in contributo di conoscenza e di specifica proposta nel merito delle problematiche affrontate, ma soprattutto per il suo valore di ‘anticipazione’. Valore, questo, cui si perviene attraverso gli specifici strumenti di indagine delle discipline che concorrono alla elaborazione del progetto e che costituiscono la base necessaria per definire appropriate risposte, in termini critici e operativi, nel rapporto con la realtà; ove si ribadisce il ruolo del progetto entro una visione globale, in assenza della quale anche il senso di responsabilità non può che risultare indebolito.

Non sembra dunque velleitario interrogarsi sulle possibilità e sulle opportunità che potrebbero essere incentivate, affinché questa attività progettuale continuativa e dichiaratamente finalizzata possa avere ricadute sui processi decisionali che portano ad attuare gli interventi sulla città, anziché rimanere confinata – come per lo più accade, quasi vi fosse il timore di scoperchiare il vaso di Pandora – nell’ambito delle mostre e delle cosiddette pubblicazioni scientifiche. Per inciso è evidente, proprio a partire da quest’ultimo aggettivo di cui spesso si abusa al di fuori delle scienze esatte, che si tratta di un contributo di conoscenza non assimilabile alla ricerca pura, né alla ricerca applicata e alle sue ricadute dirette sul mercato.

Tuttavia, la ricerca progettuale condotta in ambito universitario costituisce un patrimonio di conoscenza che si rivolge all’interlocuzione con la città – nel senso di civitas – e ai suoi amministratori, proponendosi in termini dialettici rispetto alle modalità di svolgimento dell’attività professionale nel suo rapporto con la committenza pubblica o privata. La fondamentale attitudine che viene sviluppata dai progetti ‘accademici’ è quella dell’esplorazione di possibilità insite nel riconoscimento di varchi ancora aperti, resi evidenti o addirittura svelati da un lavoro di attenta riscrittura che delinea per la città e le sue parti, per i luoghi, una individualità che esclude nozioni generiche, così come ogni modello di riferimento ideologicamente precostituito.

Tali caratteri si possono sintetizzare in quel concetto di ‘appropriatezza’ che mette in discussione, o quanto meno può circoscrivere aspetti oggi dominanti, quali la centralità dell’immagine, la spettacolarizzazione dell’idea e il dominio della griffe; fenomeni che caratterizzano l’attualità dell’architettura, spesso chiamata a rincorrere, nel contesto del mercato internazionale e del consumo globale, un successo che sembra essere ratificato in misura preponderante dalla circolazione mediatica.

Quanto, in definitiva, è auspicabile, non è alimentare motivi di conflitto tra l’attività progettuale svolta in ambito accademico e quella professionale. Al contrario si tratta di aprire i canali attraverso i quali le esperienze di ricerca condotte nelle scuole di architettura concorrano a formare conoscenza – diffusa e partecipata – e consapevolezza critica intorno ai problemi che la trasformazione della città pone, traducendone la complessità in temi per il progetto.

Angelo Torricelli

Preside della Facoltà di Architettura civile dal 2008 al 2015



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