13 giugno 2017

PARTITO DEMOCRATICO: C’E’ QUALCOSA DI ANTICO, ANZI DI NUOVO

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Sono passati oramai quasi dieci anni dalla sua fondazione, ma l’identità del Partito Democratico permane oscillante, come se alcuni nodi di fondo non siano ancora stati sciolti, o, se lo sono di fatto, non sono ancora stati adeguatamente sistematizzati.

03ucciero22FBNaturalmente, una certa ambiguità è non solo inevitabile ma persino funzionale al suo esistere come grande partito ed alla sua necessità di allargare il più possibile la ricerca del consenso a molteplici e non sempre vicine aree sociali, ma la sensazione è che il loro persistere sia la spia di un conflitto politico serio circa le coordinate della natura del partito.

Per alcuni, il Partito Democratico è qualcosa di nuovo, qualcosa che cambia totalmente il panorama della politica italiana, un soggetto che, prima di Macron, allude a una rivisitazione complessiva dei concetti di destra e sinistra. Matteo Renzi ne è alfiere e levatrice, ma il suo lavoro è molto più lungo, faticoso, arduo, di quanto possano far sospettare le pur numerose primarie vinte, che come “ordalie” avrebbero la funzione di stabilire a chi va il favore degli dei e per quanto riguarda Macro, si vedrà.

Per altri, il Partito Democratico è qualcosa di nuovo certo, ma anche di antico, qualcosa che pur innovando forme della partecipazione e contenuti, tuttavia non recide le radici di una tradizione molteplici, affondate nell’humus del cattolicesimo democratico, del comunismo gramsciano e togliattiano, dell’europeismo libertario, che attualizza nel presente.

L’ennesima forzatura, cercata da Matteo Renzi, in occasione di un patto elettorale che, come la matriosca, conteneva già in sé la confusione del Pd con lo pseudocentrismo di Forza Italia, ha trovato per la prima volta – ed era ora! – la dura opposizione dei padri fondatori dell’Ulivo e persino del Pd: da Prodi a Napolitano, passando persino da Veltroni, l’altolà è stato forte e deciso.

Si è rivendicata una visione del Pd come interamente iscritta nel panorama del centro sinistra, quale sua parte preponderante certo, ma non totalizzante, riconoscendo la piena legittimità di un arco di forze che lo trascende e lo obbliga ad imboccare, invece delle comode scorciatoie dei premi e delle migrazioni contro natura, l’ardua via del confronto, della mediazione, della politica insomma. Tutta roba questa, che va di traverso all’attuale Segretario del Pd, da sempre su due soli atti essenziali dell’azione politica: ricerca del consenso ed esercizio del comando.

Ma il ritorno di un antico sentire, che pure il primo passaggio delle amministrative ci presenta come nuovo, non è formato solo dall’essenziale questione del posizionamento del Pd e della sua strategia, ma a sua volta rimanda, come si diceva, a quei nodi che ancora appaiono in larga parte irrisolti.

Tra questi, il tema del lavoro è fondamentale, e come stupirsene se la sinistra è nata in rappresentanza dei lavoratori, con la finalità politica di elaborare proposte ed iniziative tese a migliorarne la condizione e la collocazione.

Proprio sul lavoro, sulla rappresentanza sindacale, sul rapporto di forza nell’impresa, gli ultimi anni sono stati segnati da un’azione di governo che appare, per essere cauti, ben lontana dai canoni che dovrebbero guidare la relazione con il mondo del lavoro.

Il florilegio è noto e lo ricapitolo solo per tappe: dalla rottura del metodo della concertazione, alla elaborazione del Jobs Act, al provvedimento della Buona Scuola, fino alla sconcertante e miserevole vicenda dei voucher.

Per la prima volta, abbiamo assistito in Europa occidentale a un governo di centro sinistra che rompe con larghissima parte del sindacato, privilegiando nei fatti e nei simboli il rapporto con l’impresa: alla tuta di tela si è preferito il maglione di cachemire.

Naturalmente, disinvoltura nei modi ed avversione nei contenuti, non sono rimasti senza reazione, non solo presso le parti sindacali, quanto e soprattutto presso i lavoratori: oggi – e il dato è eclatante – il voto operaio privilegia Movimento 5 Stelle, Lega e persino Forza Italia, mentre il Pd rimane fortemente insediato solo presso i pensionati. Questo dato di fatto non solo è inquietante in termini elettorali, spiegando molte delle difficoltà attuali del Pd, ma soprattutto attesta la lontananza dell’attuale sua politica dal soggetto sociale, il lavoro, che maggiormente dovrebbe costituirne al tempo stesso insediamento sociale e punto di riferimento programmatico.

Su questo punto essenziale, la partita nel Pd continua ad essere aperta, come le stesse primarie di febbraio hanno dimostrato. Circa un terzo dei partecipanti (odio l’espressione “primaristi”), hanno espresso, con il sostegno a Orlando ed Emiliano, il desiderio di un forte cambiamento delle politiche del lavoro e rimane sempre l’interrogativo su quanto avrebbe potuto irrobustirsi questo schieramento se Bersani e D’Alema non si fossero tolti dalla competizione.

Dunque il lavoro, i lavoratori, come ragione fondativa della stessa esistenza del Partito Democratico, il lavoro nella visione che Papa Francesco ha magistralmente presentato come via principale da seguire a fronte del cosiddetto “reddito di cittadinanza”: una scelta che sottolinea come solo il lavoro radichi la persona nella società, connettendo reddito al contributo che ad essa fornisce.

Parole antiche, che appaiono nuove e rivelatrici nel confuso sovrapporsi dei messaggi e delle pseudo etiche che mescolano rabbia a pretesa, senza trovare l’equilibrio tra diritto e dovere.

Concetti e principi che nelle parole dell’onorevole Cesare Damiano (Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati e autorevole riferimento democratico sul tema del lavoro), l’eguaglianza, stella polare della sinistra (e Bobbio non era comunista), e forniscono un quadro programmatico molto utile per riportare l’attenzione del Pd sui lavoratori e soprattutto per rinnovare con loro un patto antico ma poco onorato nel recente passato.

Cesare Damiano propone, negli scenari della globalizzazione e dello sviluppo accelerato dell’automazione, un nuovo patto con i lavoratori, collocandone l’azione creatrice come principale fattore di identità e dignità, come protagonisti di un rinnovato “Umanesimo del Lavoro”. C’è qualcosa di antico, anzi di nuovo, nel Partito Democratico.

Giuseppe Ucciero

PS. Cesare Damiano sarà a Milano il 16 giugno per presentare il programma di Sinistra Pd.

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