23 maggio 2017

CRONACHE DA PIANO CITY 2017: NON SOLO MUSICA MA SPAZI PUBBLICI

Programmi mozzafiato, tra suggestioni e qualche delusione


È davvero sorprendente il successo di Piano City della scorsa settimana, di questa invenzione ormai non più recente (è arrivata al sesto anno di vita: nel 2012 ci fu il primo timido tentativo, nel 2013 si diffuse come una curiosa novità, oggi è già entrata nella tradizione milanese) e capace di mettere sottosopra la città per quarantotto ore filate, notte e giorno.

05viola19FBAvendola accompagnata in tutti gli anni passati con racconti e commenti, dapprima prudenti poi anche entusiasti, non dirò nulla se non alcune curiosità nelle quali mi sono imbattuto; perché è evidente che con oltre 450 eventi in due giornate non si può partecipare che a pochi, pochissimi, per di più difficili da scegliere a causa delle prenotazioni obbligatorie e delle informazioni necessariamente molto succinte sugli interpreti e sui programmi.

Tre novità mi hanno colpito in questa tornata, e di tutte la più curiosa è stata sicuramente la maratona delle 32 Sonate per pianoforte di Beethoven (dette anche il “nuovo testamento” in controluce all’”antico testamento”, vale a dire al Clavicembalo ben temperato di Bach). Si è svolta nella giornata di sabato alla Palazzina Liberty con l’avvicendamento ininterrotto di ventidue giovani allievi e allieve del Conservatorio di Bergamo che le hanno eseguite tutte, in ordine numerico, dalla prima all’ultima; fra una e l’altra solo un minuto per gli applausi e per annunciare il nome del pianista successivo e la tonalità della nuova Sonata.

Non ho potuto verificarlo, ma pare che la durata complessiva sia stata di quasi dodici ore! Peccato che non sia stato distribuito al pubblico uno straccio di programma con il nome dei giovani concertisti anche perché il livello, nonostante qualche défaillance, era piuttosto elevato, con molti giovani promettenti e alcuni già maturi, e ci sarebbe piaciuto memorizzarne i nomi.

Non credo che capiti frequentemente di assistere a un evento del genere, né mi sembra possibile ascoltare à-bout-de-souffle tutte le 32 Sonate seduti in una sala da concerto; eppure l’idea mi sembra molto suggestiva tanto che bisognerebbe forse trovare il modo di ripetere l’evento, una volta ogni tanto, e renderlo pienamente godibile. Per esempio in uno spazio in cui, ascoltando, si possa svolgere una attività silenziosa che non impedisca la concentrazione. Aiutatemi voi.

Devo però aggiungere un rilievo: la maggior parte di quei giovani andava troppo veloce nei tempi veloci (talvolta in modo irritante, da non far percepire le singole note e non far capire il senso delle frasi) e troppo lento nei tempi lenti; una brutta abitudine che, come si sa, sta dilagando. Ho chiesto ad alcuni fra loro se quella misura dei tempi fosse nelle loro corde o se venisse loro imposta, e tutti hanno accusato con fastidio che si trattava di una precisa richiesta dei docenti del Conservatorio. Sono letteralmente trasecolato.

Altro evento, di tutt’altro genere, i concerti-lezioni che si sono tenuti sia il sabato che la domenica al Teatro dell’Arte in Triennale, dove si sono succeduti sei grandi maestri (Chilly Gonzales, Michael Nyman, Marco Fumo, Michele Fedrigotti, Emanuele Arciuli e Michele Campanella) con musiche di diversissimo genere; non so come siano stati gli altri, ma i Quadri da un’esposizione di Modest Mussorgsky, spiegati ed eseguiti da Campanella, sono stati un evento veramente memorabile, e il perché è presto detto.

È molto raro che un interprete, ancorché di grande valore, sia anche bravo conferenziere, colto, ammaliante, convincente. Spesso i musicisti che illustrano le opere prima di eseguirle sono impacciati, noiosissimi, pedanti, tanto che viene voglia di dir loro … “coraggio, su, cominci a suonare!”. Il caso di Campanella è pressoché unico; domenica ha intrattenuto il pubblico, con l’analisi della composizione e del singolarissimo posto che essa occupa nella storia della musica e nell’orizzonte delle insorgenti scuole nazionali, con grande simpatia e competenza.

I Quadri sono musica che racconta e sentirla raccontare due volte, prima con le parole e poi con le note, dalla stessa persona e con eguale capacità di seduzione, percepire insieme le intenzioni dell’autore e dell’interprete e metterle a confronto, è stata una vera avventura dello spirito. Non so quale delle due mezz’ore, quella della presentazione e quella dell’esecuzione, abbia gradito di più il pubblico. Sicuramente è uscito dal teatro con una maggiore sensibilità e una dilatata capacità di intendere la musica.

Il terzo “evento” (qui le virgolette diventano obbligatorie) cui ho preso parte è quello che, diviso in due diversi momenti, si è svolto nella piazza e sotto la chiesa del Santo Sepolcro, nel luogo che fu l’incrocio del decumano con il cardo della città (quella Mediolanum che fra il 286 e il 402 dopo Cristo fu capitale dell’Impero Romano). Lì affacciano sia la Chiesa in cui negli ultimi anni di vita veniva quotidianamente a pregare il cardinal controriformatore Carlo Borromeo (che nel 1584 morirà per la malattia contratta navigando con il “Barchett di Boffalora” sul Naviglio Grande, di rientro in città dalla sua Arona) sia il palazzo in cui Benito Mussolini fondò il 23 marzo 1919 i “Fasci di combattimento” (ed era presente anche Filippo Tommaso Marinetti!).

Né la piazza né la cripta sono luoghi di particolare bellezza, ma hanno entrambi qualcosa di magico; la piazza, nonostante lo scriteriato parcheggio dei mezzi della Polizia di Stato (che nel bel palazzo con la facciata smaccatamente fascista vi ha un Commissariato), ha conservato il fascino della sua lunga storia. La cripta ha perso quasi tutti gli affreschi che l’adornavano, ma ha salvato la meravigliosa pavimentazione “urbana” della città romana (e pare che da un anno a questa parte, da quando cioè è stata riaperta al pubblico, abbia avuto 40 mila visitatori).

Piano City ha dunque acceso la luce su questi due luoghi: all’1.00 di notte nella cripta in condizioni quasi proibitive per il freddo, l’umido, la totale mancanza di sedie, soprattutto per quel pianoforte verticale, del tutto inadatto alla musica romantica (l’unico che poteva passare per la piccola scala a chiocciola) il pianista Alberto Nones ha potuto eseguire solo i Nachtstücke del giovane Schumann, e ha dovuto rinunciare ai previsti Gesänge der Frühe [Canti del mattino], dello Schumann maturo.

Una delusione per chi aveva apprezzato un programma assai ben pensato. L’indomani, nel pomeriggio, si è tenuto un concerto in piazza con pianisti e generi musicali molto vari, introdotto da due valzer di Chopin sorprendentemente eseguiti, con molta grazia, da un giovane poliziotto in divisa: uno spettacolo inusuale e delizioso. Peccato che la piazza sia stata pedonalizzata solo in parte, togliendo i mezzi parcheggiati ma consentendo ai suoi bordi il transito di automobili e motociclette. L’importante, come si sa, è cominciare. L’anno prossimo si farà meglio.

Paolo Viola



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