3 maggio 2017

FIERE DEL LIBRO, FIERE DI CHI

Tra mode, consensi, “bassi costi” e scarse presenze


Nel generale clima di autocelebrazione che pervade la città tutte le iniziative e le manifestazioni pubbliche e private sono giudicate un successo, un esempio per il Paese, motivo di orgoglio per cittadini e amministratori, sberleffo verso la sporca e inefficiente Roma o la provinciale Firenze o la délabrée Napoli.

04marossi16FBChe si tratti di moda, di cibo, di mobili, di mostre, del ricevimento dei migranti tutto è super; financo quel fossone imbellettato della Darsena diventa competitivo con il Tevere, il Danubio e il Tamigi. Anche le leggende metropolitane più curiose – come quella che Milano ha più visitatori turisti di Roma e più musei di Parigi – vengono pubblicate, commentate, condivise da autorevoli amministratori e opinion leader.

Chi denunciò i tempi della soi-disant “Milano da bere”, come quelli di una città patinata, godereccia e un po’ arrogante, ormai si è ricreduto e oggi è convinto che quello fu un periodo di meditazione ascetico-contemplativa moralisteggiante, rispetto all’oggi.

Così anche nel caso di Tempo di libri, fiera mercato del libro, si è partiti con un po’ di grandeur e supponenza considerando esaurita l’esperienza torinese, viziata del resto da piccoli e grandi imbrogli nei numeri. In pratica vi era la certezza che essendo la Lombardia la capitale dell’editoria: il 20% delle case editrici italiane, ma il 40% dei titoli annualmente pubblicati nel nostro Paese, con 26 mila addetti e una percentuale di cittadini lettori superiore a quella di quasi tutte le altre regioni, il successo fosse garantito. Invece così non è stato, e seppur a malincuore i giornali cittadini – oltre che ovviamente La Stampa del 23 aprile 2017 – hanno parlato se non di fallimento, di flop.

I 60.796 visitatori sono la metà di quelli dichiarati dal Salone del libro di Torino (anche se lì di solito baravano); ci si aspettava ben altro tant’è che si è dovuto ridurre il costo del biglietto di ingresso in corso d’opera (ma il metro costava sempre 5 euro a/r) stante che l’afflusso dei primi due giorni sembrava quello dei comizi di Angelino Alfano.

Perché? Innanzitutto si è scelto un periodo particolarmente felice: un ponte; un orario intelligentissimo: chiusura alle 19,30 nelle giornate lavorative; una location la Fiera che genera depressione immediata per la sproporzione tra spazi disponibili e spazi utilizzati; una comunicazione che solo gli iniziati comprendevano; e non si sono coinvolte le scuole sapendo che il mercato che più tira in Italia è quello infantile/giovanile.

Certo gli stand erano allestiti con grande professionalità e gli spazi meno angusti di quelli del Salone di Torino o di Più libri più liberi di Roma (Fiera nazionale della piccola e media editoria). Tuttavia, si percepiva la sgradevole sensazione di essere in un Salone di serie B, una scopiazzatura di Torino senza l’originalità di Mantova o la freschezza di Roma. Del resto ormai gli amministratori locali hanno capito che i libri offrono a bassissimo costo un ritorno importante in termini di immagine e quindi una Fiera del libro come un tempo un concorso letterario non si nega a nessuno.

Così l’inaugurazione di Tempo di libri ha visto la stessa coppia Ministro Franceschini Assessore Del Corno che solo un mese prima aveva presenziato al Book Pride (organizzato dagli editori indipendenti a Base) che con i suoi 30 mila partecipanti (ingresso gratuito), 210 espositori e centinaia di presentazioni è stato un successo, ma certamente ha drenato pubblico, espositori e vendite alla fiera di Rho.

Perché in realtà agli editori partecipanti interessa certo il successo di pubblico, ma sopratutto quello di cassetta, in un mercato ormai da anni in sofferenza spendere quattrini per allestire stand in cui non si vendono libri è poco comprensibile. Cito dal Giornale della libreria: “Nel 2016 gli editori hanno pubblicato 66.505 titoli, erano 59.198 nel 2010. A questi si aggiungono i 74.020 titoli e-book, fortemente in crescita sul 2015 (erano 56.145) e otto volte di più rispetto al 2010 (quando erano 9.076). Il lettore / cliente, rispetto a solo 5 anni fa, ha così sempre di più la possibilità di scegliere modi differenti di leggere e diverse fasce di prezzo. Si intercetta quindi una maggiore autonomia del lettore / cliente e una maggior sensibilità a usare dispositivi diversi dall’e-Reader. Il cambiamento è ancora più evidente se si confronta la produzione rispetto al 1980: si è passati da 13.203 titoli ai 66.505 attuali. In particolare la Narrativa, che oggi conta 18.517 titoli, nel 1980 si fermava a 1.087 titoli e i libri per bambini, oggi stimati in 6.457, costituiscono un numero decuplicato rispetto ai 612 del 1980. Nel 2016 i canali trade (escluso Amazon) continuano la loro lenta ripresa: +0,3% sul 2015 secondo i dati Nielsen, raggiungendo 1,221 miliardi di euro.

Gli e-book e gli audiolibri valgono 62 milioni di euro nel 2016, ovvero il 5,1% delle vendite trade (+21% sul 2015). Gli e-book (e gli audiolibri) non compensano però il calo delle vendite di libri registrate dal 2011 ma accentuano il segno positivo del mercato con un +2,3%, portando a un fatturato complessivo di 1,283 miliardi di euro. Da questi numeri mancano i dati di un player che in questi anni ha raggiunto posizioni e quote di assoluto rilievo, e che si possono solo stimare. Se si aggiunge infatti la stima del possibile valore di Amazon in Italia (circa 120 milioni solo per il libro fisico di varia) nel 2016 il fatturato complessivo del mercato dei libri di carta arriva circa a 1,337 miliardi di euro. Si tratta di un valore di circa 100 milioni inferiore rispetto agli anni 2010 e 2011, quando Amazon era appena arrivato in Italia.

Calano invece le copie vendute […] Questo andamento è il risultato di andamenti diversi tra i generi che compongono il mercato: a valore tutte le diverse categorie registrano segni positivi, anche se in misure diverse, mentre a volume il segno + è presente soltanto per il settore Bambini & Ragazzi (+1,6%) e per la Non fiction specialistica (+1,6%). Il settore Bambini & Ragazzi è quello che nel 2016 -ma pure nel 2015 – ha trainato di più la crescita ed è arrivato a rappresentare nei canali trade (esclusa GDO) il 18,0% del valore e il 23,4% delle copie, con il 9,8% dei titoli pubblicati”.

L’originalità della rassegna doveva stare nel “fuori salone”, cioè in una sterminata serie di eventi sparsi per la città, una sorta di Bookcity primaverile. Ma anche questo ha funzionato poco sopratutto perché per esserci un fuori salone di successo deve esserci un Salone di successo ma forse anche perché il modello del fuori salone del mobile non c’entra nulla con il libro; che senso ha infatti sobbarcarsi la trasferta a Rho se quello che ti interessa lo trovi identico in qualche bella location del centro cittadino? Il fuori salone del libro altro non era che la stessa presentazione di libri che si poteva fare comodamente in fiera magari prolungando l’orario.

In conclusione, e pur considerando che era la prima volta e quindi con necessità di rodaggio, forse aveva ragione chi diceva – mi pare fosse Boeri – che per due fiere in un mese in cento chilometri a Milano e a Torino, nel tempo di Amazon non c’è spazio.

Walter Marossi



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti