12 aprile 2017

BICI: DENTRO E FUORI CITTÀ, OLTRE LE PISTE I PERCORSI

Un progetto futuribile


Infilandomi di soppiatto nel vasto dibattito sul trasporto pubblico e sulla viabilità a Milano e dintorni, ancorandomi alla mia futile ma solida passione per la bicicletta, azzarderei una modesta proposta frutto della mia chilometrica esperienza. Non mi occupo di piste ciclabili in città, poca cosa malgrado gli sforzi magari apprezzabili degli amministratori. Non è questione di chilometraggio, ma di ampiezza, di incroci, di interferenze con il traffico automobilistico e persino pedonale, di invasioni di campo: il ciclista urbano si trova comunque in conflitto continuo con auto, moto e tram (vedi il caso di via Torino), e si prende la rivincita occupando (sull’esempio peraltro di moto e auto) i marciapiedi, innescando con i pedoni la classica triste guerra dei poveri.

11pivetta14FB-bPeraltro mi permetto, da ciclista “patentato”, di auspicare che i problemi della mobilità in una città come Milano si affrontino limitando sempre di più l’uso del mezzo privato e garantendo sempre di più l’efficienza del mezzo pubblico (mi permetto anche di osservare che viaggiare in tram o in metropolitana a Milano non è neppure troppo scomodo ed è sicuramente poco costoso, molto meno costoso di quanto si possa sperimentare nelle capitali europee).

Le manifestazioni tipo Ciclobby sono simpatiche, vivaci, utili alla propaganda delle due ruote e alla crescita di una coscienza “ecologica” e civilmente “urbana”, ma ragionevolmente impotenti di fronte alla sopraffazione automobilistica (basterebbe considerare la quantità di spot televisivi dedicati alla vendita di auto, talvolta propinando esempi di comportamenti disgustosi, sicuramente vietati dal codice della strada, alimentando la convinzione che ormai qualsiasi forma di ripresa economica non sia disgiunta dalle fortune dell’industria delle quattro ruote).

Mi vorrei occupare invece di quelle aree che circondano la città e che dialogano costantemente con la sua periferia. Quelle di nord-ovest, ad esempio, attorno a via Novara, risalendo verso il Naviglio Grande e il Parco del Ticino. Quelle di sud-est, da Lambrate verso il Lodigiano, San Colombano, eccetera eccetera … . Mi è capitato di percorrerle a lungo, cioè per chilometri e chilometri, cercando e spesso trovando strade di poco peso e di scarso traffico, relativamente sicure (miracolosamente esistono ancora strade così), talvolta riuscendo a immettermi lungo piste ciclabili (quella del Naviglio, ad esempio, tra Abbiategrasso, Cassinetta, Boffalora e più su ancora…).

Ho scoperto scorci di paesaggio lombardo ancora di grande bellezza, campi di foraggio, coltivazioni di granturco, pioppeti, acque trasparenti. Ho scoperto anche bellissimi manufatti architettonici: le grandi ville dell’aristocrazia milanese, le antiche cascine, impianti industriali e idraulici ottocenteschi … . Un patrimonio da valorizzare, è ovvio. Non ci si riuscirà mai, integralmente, intanto per i costi del recupero ma anche per la difficoltà a immaginare una destinazione d’uso: penso al castello visconteo di Cusago, passato di proprietà in proprietà e sempre nell’abbandono. Ma valorizzare significa “comunicare il valore”. I modi potrebbero essere diversi, ma intanto bisognerebbe aiutare la gente a vedere e a conoscere. Come fare?

Avessi potere e quattrini affiderei a qualche istituto del Politecnico una ricerca e un progetto. Non vorrei che nel progetto si disegnassero altre piste ciclabili: a quelle provvedono gli uffici tecnici di tanti comuni, un chilometro qui, un chilometro là. Chiederei una mappa: i luoghi e i manufatti meritevoli d’attenzione e le strade che li uniscono, scegliendo strade di scarso traffico, piste ciclabili (che spesso si perdono nel nulla), percorsi interpoderali dimenticati che con modica spesa si potrebbero ripristinare e utilizzare, costruendo solo là dove continuità non c’è, rimettendo assieme i pezzi, immaginando una efficace segnaletica, immaginando una campagna di informazione (molto rivolta ai turisti). Non trascurerei nella mappa di segnalare bar, trattorie, officine di riparazione, centri di noleggio.

Niente di originale. Navigando in internet, si scoprono molti siti dove vengono proposti itinerari ciclistici, alcuni redatti da appassionati che mettono a disposizione la propria esperienza, altri gestiti da istituzioni pubbliche (ad esempio in uno sono indicate dettagliatamente tutte le piste ciclabili d’Italia !). Il gruppo “Turbolento”, con un ottimo lavoro di informazione e di segnalazione, propone “Strade zitte”, cioè strade minori, sicure e silenziose, una brillantissima idea.

Mi piacerebbe che “strade zitte” diventasse un obiettivo del Comune di Milano o della Città metropolitana o della Regione Lombardia, per immaginare e progettare un livello di viabilità “protetta” favorevole alla bicicletta. Tutto ovvio (e normale in altri paesi d’Europa). Sottolineo due aspetti per me fondamentali: il rapporto con Milano (se salgo in macchina e mi muovo per cinquanta sessanta chilometri verso l’Oltrepo verso Alessandria non fatico a trovare “strade zitte”, ma sempre la macchina devo usare), la circolarità e l’interazione dei percorsi (cioè dovrei poter fare il “giro” e non essere costretto all’ “avanti e indietro”).

Parlerei di turismo ciclistico o di ecologia ciclistica o di ciclismo punto e basta (anche solo pedalare tra ville e cascine, filari d’alberi e prati e corsi d’acqua ha un valore culturale). In altri paesi, che vantano molto meno di noi da mostrare, funziona così. In Francia e in Germania esistono piste ciclabili per chilometri in città e per centinaia di chilometri nelle campagne, attorno ai laghi o lungo i fiumi. Sarebbe insensato da noi un modello del genere? Ripeto: basterebbe “connettere”.

 

Oreste Pivetta



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti