11 gennaio 2010

LASCIAMO IN PACE CRAXI ANCORA PER UN PO’


L’uso dispettoso della toponomastica, non per celebrare e ricordare, ma per umiliare gli avversari politici, sotto l’ipocrita pretesa di rendere omaggio a qualche personalità dimenticata o contestata, appartiene a quella categoria di azioni che una leadership politica accorta farebbe meglio a evitare. Si può anche finire nel ridicolo: ne ho due esempi nella storia milanese della mia famiglia. Sono nato in Piazzale Fiume, 28, ora Piazza della Repubblica, dopo una breve parentesi durante la RSI in cui si era chiamata P.za Carnaro – per ragioni che paiono oggi tanto più incomprensibili in quanto è assai improbabile che si trovino milanesi sotto i 70 anni in grado persino di percepire questo cambiamento.

Ma per me non è finita: i miei nonni materni, nella cui casa sono poi andato ad abitare rientrando a Milano dopo lo sfollamento, abitavano nella Galleria Motta, in via Carlo Alberto 10. Con una carognata storica davvero meschina (e potevate lasciarlo stare questo povero Carlo Alberto, no?) i nuovi padroni l’hanno trasformata in via Mazzini, 20. Parce sepulto!

Sono contrario a intestare una via, piazza o altro a Bettino Craxi, non per antipatia nei suoi confronti, ma per due ragioni assai precise. Una è la circostanza che il giudizio su Craxi è ben lungi dall’essere consolidato. Si sono dette molte cose su di lui, pochi però hanno utilizzato categorie non contingenti per spiegare una vicenda politica molto specifica, ma che per essere compresa richiede una teoria di un livello di generalità più elevato. Forse quella teoria ci viene fornita da Beppe Bonazzi con la sua ipotesi del “bouc emissaire” il capro espiatorio( Colpa e potere. Sull’uso politica del capro espiatorio il Mulino, Bologna, 1983).

Di cosa si tratta? Bonazzi, che è uno dei migliori ricercatori sociali italiani, si è posto il problema di studiare la reazione delle organizzazioni a eventi catastrofici. Per esempio i casi di morte bianca che mettevano a repentaglio l’intera struttura dirigenziale di una grande impresa. Chi pagava per questi eventi? Chi finiva per fungere da capro espiatorio? Bonazzi ci dimostra che, invariabilmente, non si trattava del vecchio potere bene insediato nei suoi fortini organizzativi, né dei giovanissimi protestatari ancora poco influenti, ma degli innovatori in transizione. Esattamente come fu con Craxi, che servì da capro espiatorio dell’intero sistema, mentre i nuovi come Bossi e Berlusconi non erano ancora partiti e i vecchi DC e PCI se la cavarono con molte ferite, ma senza essere sotterrati.

Ragionare in termini più ampi non è un’assoluzione, ma un aiuto a una migliore comprensione dei fatti: spesso nella storia gli attori non si rendono del tutto conto delle vesti che la scelta di una data parte impone. E’ evidente però che le ragioni di ordine strutturale si mescolano sempre con gli errori di chi agisce ed io penso che una causa decisiva del crollo di Craxi fu la debolezza del partito: se Craxi non avesse svuotato il partito socialista di quegli anni, tra l’altro trattando in modo cinicamente sprezzante il tema centrale dell’epoca, la questione della corruzione, con l’affermare in modo spiccio che ci avrebbe pensato dopo aver consolidato il suo potere, forse avrebbe avuto qualche difesa in più. In particolare, e questa è un’innegabile responsabilità del craxismo, in quegli anni, come giustamente ricorda Bocca su Repubblica (5 Gennaio) il partito fu ripulito da un tipo di socialisti tradizionali, “buoni e onesti” come si diceva allora, che sarebbero stati un vero asset nella vicenda di Tangentopoli. Ma oltre a questi sono poi stati eliminati molti sostenitori che sarebbero stati utili. Giorgio Bocca ricorda su La Repubblica del 5 gennaio i nomi di alcuni dei molti che sono stati fatti fuori a Milano. Bocca stesso era socialista e poi a un certo punto è diventato un nemico. E’ stata una buona politica eliminare i Bocca?

Oggi i socialisti stanno discutendo e interrogandosi sulle vicende del decennio craxiano: lasciamoli lavorare in pace. Imporre una celebrazione positiva di Craxi come escamotage politico è un atto odioso innanzitutto nei confronti di chi tra i socialisti, ha combattuto gli aspetti negativi del craxismo e, in non pochi casi, ne ha sofferto di persona – non mi reputo tra costoro e quindi posso parlarne con coscienza libera. Chi non è di casa in questo dibattito dovrebbe avere la decenza di starsene fuori. E’ comprensibile che molti socialisti che furono travolti da Tangentopoli cerchino tramite la riabilitazione di Craxi anche un loro lavacro, ma si tratta di un’operazione così scopertamente pro domo sua, da far aumentare, piuttosto che ridurre, la conflittualità tra i socialisti. Non solo, ma è destinata a rianimare l’immagine che allora nocque a tutti i socialisti: quella di persone intelligenti ma ciniche e profittatrici. Una celebrazione di Craxi sarà sicuramente possibile quando il dibattito tra i socialisti avrà maturato posizioni più serene e condivise, ma ora non farà in alcun modo bene al nome di Craxi.

La seconda ragione è che, da parte di un rappresentante dell’attuale maggioranza, come il Sindaco Moratti, si tratta di un’inutile e avvilente ipocrisia. Il nome di Craxi viene oggi impugnato come clava nei confronti della sinistra, per bastonare Di Pietro e Travaglio, ma chiunque abbia vissuto intensamente quel periodo, potrà dire che l’odio per Craxi era soprattutto di origine leghista e di parte imprenditoriale. Fu la classe dei produttori, che è poi quella che oggi sostiene la maggioranza di cui il Sindaco Moratti è magna pars e che odiava i collettori di tangenti, a far partire Tangentopoli, con la denuncia di un imprenditore (sottolineo) contro Mario Chiesa. E come ricorda Bocca su La Repubblica, erano gli imprenditori a essere munti e tartassati nel meccanismo delle tangenti. Furono poi le medesime persone che rifiutarono in massa la proposta di Giuliano Amato di una legge che avrebbe chiuso la stagione di Tangentopoli con un contenimento del danno.

La Lega e Berlusconi sono i figli di Di Pietro e i principali beneficiari del movimento che annientò Craxi e devono sia al sacrificato sia a Di Pietro più di qualche candelina – che fu anche offerta da Berlusconi sotto forma di un ministero, rifiutato dall’interessato. Non ce la vengano a raccontare e soprattutto, non cerchino di pagare il loro debito attizzando il risentimento e il disprezzo di chi, invece, vede in Craxi la principale causa del fallimento del Progetto Socialista: un vero progetto socialdemocratico moderno per l’Italia e la prima vittima politica delle perversioni del craxismo. Imporre con la forza un simbolo fisico su un dibattito in corso, ancora caldo e grondante falsa coscienza, significa mettere a portata di mano dell’ultima testa calda in giro per la città, un facile oggetto di spregi e sfregi. La memoria dovrebbe servire per unire, non per dividere: il dispetto più grande di una forzatura si farebbe proprio a Craxi. E se questa è la famosa politica dell’amore mi domando come sarebbe quella dell’odio.

 

Guido Martinotti



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