22 marzo 2017

VOUCHER? ABBIAMO SOLO SCHERZATO 

Problemi di immagine e di sostanza


Pare che alla fine, li elimineranno del tutto, i voucher, Cassazione permettendo. Spaventato dalla possibile sconfitta al referendum o, se si vuole, anche solo preoccupato di non introdurre l’ennesima spaccatura in un centro sinistra che non si vorrebbe ancor più dividere, fatto sta che il Governo Gentiloni spinge, o meglio si fa spingere, verso la loro abolizione.

09ucciero11FBEppure l’intenzione originaria non era neppure malvagia, intesi com’erano a riportare un po’ di ordine nella giungla dei lavoretti in nero, e anche di alcuni lavori pensati da Biagi e mantenuti da Prodi – ebbene sì – per le attività occasionali, e poi estesi, non senza ragione, alle attività domestiche che per la loro effettiva entità non rientravano sempre nella configurazione del lavoro subordinato (come un aiuto domestico per poche ore alla settimana). Negli ultimi anni i voucher hanno travalicato il loro ruolo, offrendo alle imprese delle costruzioni, del manifatturiero e del commercio, lo strumento per sfuggire alla disciplina ordinaria del lavoro subordinato.

Spiace, ma è un dato di fatto, che in questa operazione si sia particolarmente distinto il governo di Matteo Renzi, durante il cui regno, il voucher ha subito incrementi esponenziali: la campagna di denuncia sindacale ha dato conto di un ab-uso dello strumento del tutto incompatibile con la sua ispirazione iniziale, presentando una casistica degna di un Museo degli orrori giuslavoristici.

Neppure Milano è sfuggita: nel 2016 ben 9,8 milioni di ore lavoro sono state regolate dai voucher, con estese fasce di abuso come denunciato tra gli altri dall’insospettabile ufficio studi UIL.

Per quanto il volume complessivo delle ore “voucherizzate” ci parli di un “risicato” 0,23 % sul totale delle ore lavorate in Italia, tuttavia la sua effettiva valenza è stata decisamente superiore: bisogna tenere conto del fatto che il voucher va a incidere in modo particolare sulla regolazione della condizione di quella porzione di lavoratori che si trova all’ingresso del mercato del lavoro: la percentuale dello 0,23% si trasformerebbe allora in una assai più rilevante se il numero delle ore voucher fosse calcolato soltanto su questa più specifica platea di lavoratori.

Ma il significato politico-sociale del voucher, così come si è affermato in concreto, ha assunto anche il profilo della minaccia e del ricatto, inquinando le fonti della corretta regolazione del contratto di lavoro. Il sistema appare del tutto privo oramai sia degli anticorpi etici (ciò che conta è il profitto dell’impresa, o meglio dell’imprenditore) sia dei servizi di prevenzione e controllo (chi si ricorda più l’ispettore del lavoro?).

L’estensione legislativa di un istituto “light” verso contesti produttivi assai lontani dalla sua finalità originaria ha dato l’esca per l’ennesima spregiudicata attuazione della “flessibilità all’italiana”, quella particolare forma di deregulation per la quale il lavoratore flessibile viene pagato meno, per ora lavorata, del lavoratore non flessibile.

Eppure dovrebbe essere il contrario: se il lavoratore si adatta alle mutevoli esigenze produttive, se quindi contribuisce alla contrazione dei costi fissi, e quindi al margine d’impresa, se garantisce all’impresa gli extra profitti dei momenti di picco, dovrebbe essere pagato di più e non di meno di un lavoratore a tempo pieno.

Invece no: il voucher appare del tutto coerente anche sotto questo aspetto alla ricetta della flessibilità all’italiana. ancor prima che l’uso delle risorse umane just in time, interessa il loro basso costo, e infatti, più il lavoro è flessibile, più è basso.  Cosa che dimostra con assoluta chiarezza quanta parte del mondo imprenditoriale riesca a stare a galla, facendo profitto, solo attraverso la sistematica compressione del costo del lavoro. Altro che lavoro agile!

Il voucher ora scompare dalla nostra vita. Scompare all’italiana, una sera all’improvviso, azzerando con un provvedimento sbrigativo una vicenda più che decennale, su cui avevano investito politicamente governi di destra e di sinistra. Scompare senza dare conto, in un bilancio serio, quanto vi fosse di utile e quanto di distruttivo, così, per un ragionamento di pura opportunità politica, ma senza che la vera problematica che lo ha trasformato in uno strumento di vessazione dei lavoratori sia fatta oggetto di una disamina seria, che “separi il grano dal loglio”.

Conta per Renzi, e quindi per Gentiloni, che i referendum non si tengano più e non offrano  l’occasione per il montare di una aggregazione a sinistra, capace anche di attrarre i voti dei grillini. Del resto il fantasma del 4 dicembre ancora aleggia. Scompare sì, eppure solo ieri il tetto veniva portato a 7.000 euro per lavoratore, eppure tuttora i residui sostenitori del Jobs Act si ostinano a intonare lodi a un provvedimento che, tolti gli incentivi, dimostra ampiamente la sua inefficacia: solo il risparmio di 8.000 euro, e non il regime delle cosiddette “tutele crescenti”, hanno convinto gli imprenditori a utilizzare i nuovi contratti.

Intanto, però il danno ormai è fatto e il mondo del lavoro viaggia sotto sistemi contrattuali diversi e discriminanti. Finiti i soldi, finita la benzina, finisce il trucco, e mentre i contratti a tutela crescente giacciono giustamente negletti, i nostri eroi d’impresa cercano alternative nella formula dello pseudo apprendistato, nel lavoro pseudo somministrato e simili.

Perché la regola aurea è sempre la medesima: non solo la flessibilità non si paga, ma si paga meno del lavoro fisso. E così, naturalmente, non scompare la flessibilità all’italiana, non scompare il clima sociale ed i rapporti di forza culturali, politici, sindacali, che stanno attorno al mondo del lavoro in Italia.

Ora sembra il turno dei mini jobs, innovazione germanica che, state tranquilli, sarà introdotta e soprattutto utilizzata a modo nostro: paga oraria decente, contributi, malattia, diritti? Non è di questo che ha bisogno la nostra impresa, che chiede invece “flessibilità” mediterranea: lavori poco, ti pago ancor meno, zitto e mosca. Pare quasi di sentire: eliminare i voucher? dai, abbiamo solo scherzato!

 

Giuseppe Ucciero



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