28 febbraio 2017

L’ODIO COME STRUMENTO DI LOTTA POLITICA

I suoi luoghi fisici e virtuali


Professore di informatica giuridica dell’Università degli Studi di Milano, Giovanni Ziccardi è autore di un libro che nella sua scientificità ci riguarda tutti [L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete, Milano 2016]. «Prima la sfera pubblicata era controllata dai mass media tradizionali, ossia ciò che era veicolato – argomenti, dibattiti, opinioni, temi in discussione – era sempre passibile di un controllo nella sua presentazione e nella sua circolazione. Ora la sfera pubblica vede ancora presenti i mass media, seppure in una forma adattata al nuovo ambiente di Internet, ma il controllo non è più di loro esclusiva competenza, bensì è Internet, con l’economia dell’informazione condivisa, che sembra essersi incorporata nel dibattito democratico e, quindi, nella democrazia stessa» [p. 73].

09gario08FBPerciò «il panorama dell’odio online moderno, rispetto a quello degli anni Novanta e dell’inizio degli anni Duemila, si caratterizza anche per questo: i grandi fornitori di tecnologia e di piattaforme diventano parte in causa diretta nella decisione di quali contenuti rimuovere e di quali vittime difendere». «Occorre sempre tenere a mente, quando si tratta di odio online, che il network dell’odio che si è creato, e che è segnalato in crescita costante, non è virtuale, ma reale. La digitalizzazione consiste soltanto in pacchetti di dati che contengono le parole e che attraversano i continenti, ma gli effetti sulle persone e sulla loro salute sono identici a quelli conseguenti ad aggressioni fisiche e altrettanto reali».

«Il pericolo è grande perché Internet è un network globale e, soprattutto, non è virtuale, ma è sempre reale e concreto» e si sa «come fin dagli inizi, i gruppi che incitavano all’odio avessero trovato un vero e proprio “porto sicuro” per i loro siti web negli Stati Uniti d’America, dal momento che la Corte Suprema aveva significativamente limitato, nel corso degli anni, la possibilità del governo di proibire la distribuzione di materiale razzista e provocatorio in quel paese» [pp. 77-78].

Nelle lezioni conclusive del 13 e 20 gennaio 2017 al Collége de France del corso su “État social et mondialisation: analyse juridique des solidaritès”, un altro giurista, Alain Supiot, ha tracciato un solido ponte tra passato e futuro. Un secolo di sentenze di diverso segno della Corte Suprema USA è culminato nel 2010 nel via libera a imprese e associazioni, spesso loro emanazioni, a finanziare senza limiti la politica in nome del I emendamento sulla libertà di parola dei cittadini americani, ai quali imprese e associazioni sono ora equiparate. Le opinioni dei cittadini sono travolte dagli interessi di imprese protette da leggi fiscali devote alla crescita economica misurata sui profitti.

La Corte Suprema USA ha legittimato una sfera pubblica virtuale aggressiva, finanziata senza limiti da imprese e associazioni, fuori da ogni controllo e risposta giurisdizionale. I provider USA decidono su etica, contenuti e tutela dei nostri diritti in tutto il mondo ormai davvero piccolo anche moralmente. Nei suoi tweet il testimonial Trump esaurisce il dibattito politico in un sistema che in lui restituisce il potere al popolo, cortocircuitando il Congresso, come il governo UK avrebbe voluto dopo Brexit con la Camera dei Comuni, che pure incarna la presunta sovranità nazionale ritrovata.

Chi a Milano ricorda piazza San Babila sanbabilina e piazza Santo Stefano ultrasinistra apre subito le orecchie perché, ben prima di Internet, i network sotterranei dell’odio lavoravano in città, con gravi danni reali a chi, per esempio, capitasse nelle piazze S. Babila o S. Stefano nel momento sbagliato, magari arrivando dal pacifico corso Europa – nomen omen.

Quell’odio era alimentato da pulsioni banali e rozze: ambizione, invidia, narcisismo, soldi, violenza. Vi fu chi passò alla cassa, magari a distanza di sicurezza nella cosiddetta seconda repubblica. Va da sé che l’ufficialità, diciamo così, era la difesa della civiltà, nientemeno.

Gli effetti dell’odio sono sempre uguali e Milano, che li ha già vissuti, sa che la questione del velo islamico serve a mistificare pulsioni rozze fuori controllo, guerre civili travestite da guerre di civiltà, uno zombie che tenta di tornare.

 

Giuseppe Gario

 

 



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