14 febbraio 2017

A MILANO OGGI È GIÀ DOMANI

La “resilienza finanziaria” per restare in Europa


Il tabaccaio sotto casa, persona responsabile, gentilmente ricorda a una persona anziana di aver già fatto molte giocate del lotto in un solo giorno. Non serve, ma mai dire mai. Ingiustamente reputati furbi, quando non abbiamo dipendenze patologiche noi italiani siamo responsabili e resilienti, senza esagerare perché ne approfittano, come la sindaca Raggi a Roma, città appunto eterna. A Milano intanto la ricapitalizzazione di Unicredit – con lo svettante ombelico nel nuovo centro direzionale milanese – è un passo cruciale per il futuro del paese e della nostra resilienza finanziaria.

04gario06FBLa finanza italiana, che ha inventato la banca moderna nel tornante del Rinascimento, torna a credere nelle proprie possibilità”, scrive Philippe Escande a pag. 1 di Le Monde Éco&Entreprise del 7 febbraio, senza dimenticare, va da sé ma va detto, il lavoro dell’amministratore delegato Jean-Pierre Mustier, “lontano dagli intrighi fiorentini della banca italiana”. Più che al genio francese – Mustier era giovane prodigio della Société Générale prima di incappare nel caso Kerviel – è un riconoscimento all’europeità che fa lavorare bene insieme, invece di esaurirsi in orti nazionali infestati da talpe affamate di risparmi altrui.

A Milano oggi è già domani. Come il tabaccaio alla signora, va ricordato agli afflitti da dipendenza dalla sovranità nazionale (padana, grillina, nostalgica, umorale) che nell’euro non ci volevano, perché sui soldi siamo reputati meno affidabili o, peggio, più sprovveduti, quali siamo nel discutere se stare dentro o fuori, come se dipendesse da noi.

Mentre scrivo, il differenziale di tasso tra i titoli pubblici nostri e tedeschi supera i 200 punti, tollerabile solo se loro continueranno a pagare molto poco investitori ansiosi, con poche alternative serie ma in cerca di protettori che diano l’impressione di poter fare ciò che vogliono. Trump, per dire, che si gioca la presidenza contro la maggioranza degli americani (2,8 milioni di votanti in più per Clinton), l’establishment (il check and balance), molte imprese globali statunitensi e l’UE (Germania in particolare) “sminuendo le critiche e intimidendo i partner d’affari, da decenni la sua seconda natura”, scrive The Economist. “Se il caos è ciò che vogliono i suoi più feroci sostenitori e serve a marcare la sua credibilità presso chi elegge i legislatori, il caos è un prezzo accettabile” (“America first and last”, february 4th-10th 2017, pp. 16 e 17). Legislatori conniventi elimineranno i fastidiosi check and balance: USA great again. È un azzardo, ma l’azzardo è popolare (anche da noi, con 90 miliardi l’anno giocati, ho letto).

Venerdì 3 febbraio Alberto D’Argenio, di Repubblica, a Radio3MondoEuropa ha ricordato che abbiamo ottenuto dall’UE flessibilità per 25 miliardi, che rendono sopportabili i 3 chiesti a correzione nel 2017. Si può fare, anche se Germania e Francia si premiano con un illecito surplus commerciale, la prima, e un illecito ritardo nella riduzione del deficit, la seconda. Ma Germania e Francia non minacciano la stabilità dell’euro, mentre lo fa il nostro debito pubblico sinora salvato dal quantitative easing della Banca Centrale Europea di Draghi, d’intesa con una Fed americana che ora se la vede con Trump.

In questo voluto crescente caos è solo un segno di dipendenza, come il lotto per l’anziana signora, sognare di chiuderci in casa “parva sed apta nobis”, che non c’è più dal 1997 quando la lira fu colpita e affondata (con la sterlina) da George Soros, tutto solo. Farci buttare a mare la seconda volta è un disastro, buttarcisi da sé un suicidio. I migranti che cercano di arrivare in Italia non lo fanno, impariamo da loro.

A Milano è già domani, per i migranti che fanno leva sulla loro resilienza, e per noi che la nostra resilienza possiamo investirla nella faticosa ma provvidenziale costruzione di un governo federale europeo, area euro, necessario per gestire euro, migrazioni, noi stessi e l’arroganza altrui.

A partire dall’Europa a due velocità, nel sessantesimo del Trattato di Roma, qui e ora in Italia.

 

Giuseppe Gario

 



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