24 gennaio 2017

CRAXI

Avere coraggio


La questione Craxi si ripresenta regolarmente a Milano e mi domando chi abbia interesse a sollevarla se non i legittimi eredi a difesa dell’onorabilità di un congiunto cui tengono: un loro diritto. Altri non ne vedo se non chi rivendichi, sapendo quel che fa, l’eredità morale. Naturalmente di nuovo ci sono due fronti: quello che considera Craxi un esule, vittima di una persecuzione giudiziaria e chi lo considera un latitante, un colpevole che si sottrae alla giustizia.

01editoriale03FBIl nuovo episodio di questa tormentata e divisiva vicenda parte dalla richiesta di intestazione di una via o di un altro luogo cittadino.

Non mi è dato trovare sul sito del Comune norme che presiedano a questa operazione. Se non ci sono varrebbe la pena di emanarle: così si eviterebbero questioni inutili, una volta definiti i requisiti dei destinatari di questo “onore” civico.

Di nuovo oggi ci troviamo a dover decidere se dare retta a chi in buona sostanza chiede una “riabilitazione” di Craxi o a chi preferirebbe seppellire il problema considerando conclusa la vicenda in termini giudiziari.

I fautori della riabilitazione usano un argomento sempre uguale e ripetitivo: Craxi è stato vittima di una persecuzione giudiziaria per opera di giudici, quelli di Mani pulite, animati da propositi politici più che dalla ricerca di verità e giustizia.

Che questo giudizio su giudici abbia un qualche contenuto di verità è indubbio, così com’è indubbio che la società civile di allora fosse sconvolta dalla scoperta di fatti di corruzione di tali dimensioni da travolgere il senso stesso della parola giustizia e da far dire a Di Pietro che eravamo in presenza di una concussione ambientale, affermazione mai smentita. Il Paese si domandava dove fosse la classe politica e chi fosse connivente. Lo stesso Craxi, di fronte alle indagini della magistratura, nel famoso discorso alla Camera dei deputati confermò questa realtà chiamando a correo l’intera classe politica e i Partiti.

Chi vuole la riabilitazione, visto che il clima odierno è meno arroventato e parlare oggi di manipolazione dei giudici sarebbe ostico, dovrebbe avere coraggio e affrontare due vie: la riabilitazione penale, ex articolo 178 del Codice Penale, che si limita alla cancellazione della pena ma dubito che sia una via percorribile soprattutto per la morte dell’imputato, o la revisione del processo – o dei processi – di fronte alla Corte d’Appello ex articolo 629 del Codice di Procedura penale. Sarebbe un rischio ma, se giuridicamente possibile, va corso.

Di riabilitazioni è piena la storia, anche di riabilitazioni per via giudiziale: la più famosa è quella che tutti ricordiamo quanto meno per aver visto L’affare Dreyfus, lo sceneggiato televisivo RAI del 1968 o Prigionieri dell’onore, film del 1991 di Ken Russell. Per Dreyfus scese in campo anche Zola seguito da alcuni intellettuali francesi. Ci sarà uno Zola italiano? Alla fine la riabilitazione di Dreyfus lasciò indifferente l’opinione pubblica francese, dimentica dei travagli che la percorsero.  Un monito dalla storia.

Ma esiste anche una riabilitazione morale, quella che avviene fuori dalle aule giudiziarie e che non può prescinderne totalmente. La riabilitazione finisce con l’essere frutto di un bilancio personale che ognuno di noi fa, guardando agli uomini pubblici, tra comportamenti politici e comportamenti morali: la scelta è tra morale e politique d’abord, ossia la polita prima di tutto.

Personalmente sono dalla parte del giudizio morale e non è sempre facile esserlo ma solo nel caso in cui si incappi nel gigantesco problema del superiore interesse del Paese: non è il caso di Craxi. L’appropriazione di denaro pubblico per sé o per il proprio Partito non è questione di superiore interesse del Paese: lo è il non farlo.

Ci sono, per finire, gli aspetti personali. In quel periodo io c’ero, iscritto al Psi e militante nella pattuglia dei lombardiani. Fui candidato nel 1992 alla Camera su invito di Bobo Craxi. Accettai sperando che i fatti del “mariuolo” Mario Chiesa non avrebbero travolto il Psi. Feci una campagna tutta centrata sul bisogno di legalità. I quadri del partito non mi diedero spazio, ovviamente: racimolai 1.189 preferenze. Il Psi era diventato il “partito dei quarantenni”. L’architetto Panseca faceva le sue piramidi all’Ansaldo per il congresso. Guardavo con preoccupazione quell’orgia di potere e la montante sensazione di impunibilità. Giustamente il saggio Rino Formica, deputato Psi, parlò di “nani e ballerine”. Iniziava il declino del Psi fino alla sua attuale irrilevanza. Craxi non volle capire che solo lui avrebbe potuto riportare il Partito fuori dalla palude dei nani e ballerine. Non lo fece. Non volle? Non posso perdonargli di aver tradito la miglior tradizione del socialismo milanese, decretandone nei fatti la morte.

Una via? Mai!

Luca Beltrami Gadola



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