18 gennaio 2017

LE CITTÁ E I CAMBIAMENTI CLIMATICI

Uno sguardo sul mondo nel quale c’è anche Milano


Barcellona, Rotterdam, Copenhagen, New Orleans, Boston, New York, Jakarta: sono queste alcune delle metropoli europee, nord americane e asiatiche che, prima e più di altre, hanno iniziato ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici, attrezzandosi, in particolare, contro l’innalzamento delle acque del mare e gli uragani e le alluvioni sempre più violenti e frequenti.

06mezzi02FBQuelle citate sono metropoli che, nel corso del tempo e degli ultimi decenni in particolare, sono state travolte da cicloni e allagamenti catastrofici: pensiamo all’uragano Katrina, che nell’agosto 2005 si abbatté su New Orleans, a Sandy che, alla fine dell’ottobre del 2012, sfogò la sua forza sulla costa nordest degli Usa, al violento nubifragio che nel luglio del 2011 allagò mezza Copenhagen. O, ancora, all’alluvione del 2007 che a Jakarta fece mezzo milione di sfollati.

Per la verità, i casi di municipalità impegnate sui temi della resilienza urbana sono molti di più di quelli citati: siamo infatti di fronte a un vero e proprio movimento delle cosiddette delle città costiere e delle delta cities, che progettano e realizzano coste, spiagge, piazze, pezzi di città capaci di fare i conti con l’innalzamento delle acque e soprattutto di conviverci. Un movimento, organizzato in diversi network planetari, che ha saputo produrre una nuova cultura tecnica, buone pratiche, investimenti, partecipazione dei cittadini e risultati concreti.

Un esempio di questo movimento viene dall’esperienza delle 100 Resilient cities, un’organizzazione sostenuta finanziariamente dalla Fondazione Rockfeller, che da alcuni anni si occupa di aiutare, anche economicamente, le città di tutto il mondo a diventare resilienti dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. A oggi, l’organizzazione conta cento municipalità sparse in tutto il globo: da Barcellona a New York City, da Londra a Singapore, da Madrid a Bangkok, da Roma a Milano (uniche due città italiane a far parte del network).

Un’altra piattaforma di confronto attorno ai temi della resilienza urbana è fornita da Iclei, l’associazione internazionale dei governi locali che dal 1990 si occupa di sviluppo sostenibile. Iclei ha infatti avviato un programma di resilienza urbana, il Climate resilient cities, sui temi della mitigazione e dell’adattamento climatico, la riduzione dei rischi, la sicurezza alimentare e le politiche finanziarie.

Il network di C40 Cities climate leadership group è il network delle metropoli più grande al mondo. Oggi ne conta 86 che ricomprendono l’11% della popolazione globale. É il network delle città leader impegnate a contrastare il cambiamento climatico e a guidare il movimento delle città per ridurre le emissioni di gas serra.

La situazione concreta nel Vecchio Continente, per quanto riguarda i piani di mitigazione e adattamento, è a macchia di leopardo. Oltre ai casi più noti, si registrano quelli di Amburgo, dove l’attenzione si è concentrata sul rapporto tra adattamento e nuove aree industriali, Manchester, che lavora a scala metropolitana, Birmingham, Lione, Malmö, Madrid, che ha da poco varato le linee guida per interventi di adattamento prodotte dallo studio internazionale Arup.

Emblematici sono i casi di Rotterdam, delta city per eccellenza, che utilizza la sua specificità come leva di marketing urbano, per attrarre investimenti stranieri, dimostrando che alluvioni e garanzia dei servizi portuali possono coesistere, e di Copenhagen, che sta trasformando interi quartieri della città in zone resilienti grazie alla profonda trasformazione di vie e piazze, creando zone piantumate, dune verdi, piste ciclabili, sostituzione di pavimentazioni impermeabili con prati e mini parchi urbani.

A Rotterdam e a Copenhagen si sta insomma assistendo a una sorta di rovesciamento del problema: il climate change è un’opportunità per migliorare la città, puntando al verde (della vegetazione) e al blu (dell’acqua) e non più al grigio (del cemento). Nello stesso tempo si abbellisce la città, con un rapporto qualità e costi inferiore a quello di interventi di tipo infrastrutturale.

Londra invece dispone di una propria strategia di adattamento ai cambiamenti climatici che risale all’ottobre del 2011. “Managing risks and increasing resilience” si chiama, che si affianca ad altre politiche che riguardano il rapporto tra città e clima, come il “Climate change mitigation and energy strategy”.

New Orleans, New York, Boston e Norfolk sono alcune delle grandi città Usa che stanno operando una svolta nel segno della resilienza urbana. New Orleans, dopo Katrina, ha varato e sta attuando i contenuti The Greater New Orleans Urban Water Plan; New York dopo l’uragano Sandy ha dato il via a Rebuild by Design, un’organizzazione che fa cooperare istituzioni locali e federali, università, enti di ricerca, attori locali per realizzare progetti e interventi di adattamento; Boston, che con il concorso internazionale Boston Living with Water si è dotata di progetti utili ad affrontare i rischi dell’innalzamento del livello delle acque e contro le inondazioni.

Anche nell’est asiatico le grandi metropoli fanno i conti con fenomeni locali e globali, come Jakarta. Per fermare l’avanzata delle acque, la capitale indonesiana si è dotata di un masterplan che, una volta realizzato, dovrebbe metterla al riparo da nuove alluvioni. The Great Garuda è il nome del progetto: una nuova città per 300mila abitanti sparsi su 17 nuove isole, che, per via delle forma adottata – una grande aquila con le ali spiegate – richiama il simbolo nazionale indonesiano, l’uccello mitologico caro all’induismo e al buddismo, il Garuda. Un progetto contestato però dagli ambientalisti locali.

 

Pietro Mezzi

 



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