20 dicembre 2016

UN SINDACO FUORI DAGLI SCHEMI: BEPPE SALA

Il ruolo difficile di un “prestato” alla politica


Mi sono dovuto assentare per qualche giorno dal lavoro…”. Nel paese delle dimissioni che vanno e vengono, il sindaco di Milano Giuseppe Sala, confidenzialmente Beppe, con un tocco simpaticamente popolare, dopo aver “appreso da numerose fonti giornalistiche, prima in modo confuso e poi in forma più chiara, di essere stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura Generale di Milano, che ha ritenuto di dover ulteriormente indagare su fatti già oggetto di anni di inchieste della Procura della Repubblica eccetera eccetera”, aveva clamorosamente imboccato la via “irrituale” dell’autosospensione (istituto poco conosciuto e soprattutto pochissimo frequentato, tanto è vero che il Corriere nell’edizione di domenica aveva avvertito il dovere di ricordarci pedagogicamente che “la sospensione deve essere recepita dal prefetto e può scattare solo in seguito a una sentenza…”).

Alla fine, mossi i legali, chiarite le circostanze, ha deciso di tornare, comunicandolo con lettera ai cittadini a mezzo internet. La sua “autosospensione” sospesa dopo un paio di giornate risulta insomma un bel gesto di valore morale e, forse ingenuamente, un azzardo politico, che rimane senza conseguenze ai fini dell’amministrazione (ma che potrebbe largamente premiarlo, a partita chiusa). Un bel gesto e basta, appunto, che però produce un bell’effetto in tutta la famiglia dei suoi colleghi (che hanno firmato solidarietà a tutto campo da tutta Italia) e nel popolo degli elettori (e forse anche in quello degli oppositori) e che in aggiunta – nessuno mi pare l’abbia scritto – getta qualche ombra sull’operato dei magistrati, perché ci si chiede se non vi sia dell’accanimento insensato nel riaprire, tirando per le lunghe, un caso di cui poco prima si era chiesta l’archiviazione, tenendo sulle spine per chissà quanto tempo il malcapitato primo cittadino, un caso generato dentro quel guazzabuglio della costruzione di Expo, guazzabuglio archiviato nelle coscienze dei più dal trionfo di Expo (e del suo direttore, il Sala medesimo).

Devo citare ancora il Corriere, che intervistando Giampiero Borghini, dimenticato sindaco di Milano, riferiva la celeberrima espressione di Marx: la storia si presenta sempre due volte, la prima sotto forma di tragedia,la seconda di farsa (dal  “18 brumaio di Luigi Bonaparte”… il “prima” era Napoleone Bonaparte). Borghini leggeva la sua sentenza, interpretando così la stagione di Mani pulite e dei tribunali e il loro riapparire carsico. I magistrati godono – si sa – di fortune altalenanti: sugli altari all’epoca di Chiesa e Craxi, talvolta nella polvere quando la tangentopoli si estende a tal punto da motivare inchieste non sempre fondate sui cosiddetti riscontri oggettivi, sospinte all’italiana dai garbugli delle leggi e delle procedure più che da una legge chiara. Una legge chiara dovrebbe porre limiti, guidare, ispirare, ma non dovrebbe comprimere e mortificare chi vuol “fare” e vuol fare del suo meglio con onestà e nell’interesse della comunità.

Mi spingo a credere che Sala, in virtù dell’esito dell’esposizione universale, sia stato catalogato da un buon numero di cittadini tra quella fattispecie amministrativa di rari campioni del “fare”. Era un manager, sindaco lo è diventato reclamato da uno schieramento (e da Renzi in particolare: per il “resto” di Renzi ovviamente si tace) per chiudere un buco, ma anche per mettere a disposizione quelle competenze che un normale politico sicuramente non possiede, con quel senso di praticità e di concretezza che ai cittadini piace, dopo tanta paralisi e tante moine e tanta corruzione della quotidianità amministrativa …

Andrebbe a proposito ricordato che la “fretta” con cui si dovette realizzare Expo fu colpa innanzitutto dello scontro affaristico che vide impegnati su opposti fronti Roberto Formigoni e Letizia Moratti, governatore regionale e sindaca, che consumarono mesi e mesi per contendersi poltrone e soldi per i loro seguaci (poi seguì l’epoca delle tangenti, cui misero fine, come sembrò, Cantone, il commissario, e proprio Sala, il futuro sindaco).

Aggiungiamo, in merito al “carattere” accattivante di Sala, quella teoria di anacoluti della sua parlata non certo da habitué del dibattito televisivo, il tratto sbrigativo, le sembianze operose, quel tono di modestia che gli consente di apparire modesto anche quando deve indossare i panni giusti per il S. Ambrogio scaligero. Sempre il Corriere di domenica ha regalato un altro tocco: quelle foto del sindaco in giubbotto e con la borsa della spesa in salumeria e dal verduraio (in zona Brera), che hanno avvicinato Sala alla attenta massaia e allo scapolone impenitente (è capitato di recente anche a Renzi).

Beppe insomma ha l’aria della brava persona, che va a comprarsi pane, formaggio e frutta e che arrossisce di fronte all’infondatezza (presunta, per quanto ci riguarda) e alla pesantezza dell’offesa (scrive Sala: l’integrità morale come elemento insostituibile della propria credibilità), segnando la propria diversità, la propria distanza dalla politica e al tempo stesso dai giudici (che fanno il loro mestiere in applicazione della legge, ma che sono altra cosa dalla giustizia), e attestando la propria frustrazione di fronte alla ragnatele delle norme, fatte disfatte rifatte.

In fondo i sindaci che hanno firmato per lui sono lì a testimoniare lo stesso mal di pancia: la legislazione che li riguarda è troppo complicata, talvolta inesplicabile, spesso paralizzante, madre di situazioni dubbie che generano sospetti e processi sommari a tempo indeterminato, a dispetto del buon senso, dell’opportunità, della giustizia.

I cittadini milanesi, almeno quelli meno distratti, tifano per Sala, che torna dunque come Cincinnato, senza imbracciare spade o lance. In fondo da Pisapia in poi la città s’è fatta, secondo certi diffusi canoni, più bella, ricca, opulenta e gaia. È vero che bellezza, ricchezza, opulenza, gaiezza non sono di tutti, ma la maggioranza ha la sensazione di partecipare, accontentandosi pure di merce taroccata. Sala, con l’Expo e con il suo tono, sembra dire: continuiamo così. Infonde serenità e orgoglio meneghino anche quando sulla scena irrompe la tragica emergenza dell’immigrazione (affrontata con spirito pragmatico e animo solidale). Soprattutto infonde la convinzione che “non siamo mica a Roma”.

Oreste Pivetta

 

 



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