20 dicembre 2016

CARTA COSTITUZIONALE: LA VITA RICOMINCIA A 70 ANNI

Ma chiede coerenza anche con i principi della Seconda Parte


Dunque la cristalleria è salva, miracolosamente sopravvissuta all’ultima zuffa di coppia finita a colpi di stoviglie. A referendum concluso e raccolti i cocci, tra fautori del cambiamento dopo “trent’anni di immobilismo” e conservatori della Costituzione settantenne ma sempre “la più bella” si potrebbe ragionare a mente più serena e vedere se gli aviti e ancora integri calici meritino almeno una lucidatura. Come risulta infatti l’ordinamento statutale, non solo centrale, alla luce delle disposizioni costituzionali rimaste inaspettatamente in vigore?

10ballabio42fbIl redivivo Senato se la deve vedere con la relativa legge elettorale come l’orso di cui era stata improvvidamente venduta anzitempo la pelle: ma sul punto è concentrata l’attenzione generale e si vedrà. Ma le Province? Date per morte e cancellate non solo da tutti gli articoli e commi del presunto nuovo Titolo V bensì persino dal testo accattivante del quesito referendario sono ancora lì! Rendendo per altro assai imbarazzante il “combinato disposto” con la tuttora vigente, e mai messa in discussione, legge Delrio.

Innanzitutto va rilevato lo scampato pericolo: se la “grande riforma” fosse passata avremmo dovuto subire una grave distorsione riguardo il diritto fondamentale di cittadinanza: una parte degli italiani avrebbe continuato ad appartenere a organi istituzionali costituzionali (le città metropolitane) e un’altra parte no (le province). Queste ultime infatti sarebbero comunque rimaste in essere in virtù della citata legge Delrio, ma senza rilievo costituzionale (art. 114) in evidente contrasto con i principi di “sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza” (art. 118) evidentemente validi per ogni grado istituzionale. Ma questa è storia passata.

In verità tali principi, introdotti con la modifica del Titolo V del 2001 (derivanti dalla innovativa cultura europeista delle origini, sulla spinta del trattato di Maastricht), erano già in nuce in contrasto con la parte inserita nello stesso Titolo inerente il rapporto “concorrente” in alcune materie tra Stato e Regioni (derivante invece dalle velleità “federaliste” della primitiva Lega bossiana). Vedi la sorte dell’art.117 che nel testo originario del ’48 contemplava di fatto una sussidiarietà verticale (“la Regione emana… norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”) modificato sempre nel 2001 in “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni” specificando le materie esclusive e concorrenti ma perdendo, almeno per queste ultime, differenziazione e adeguatezza. Bocciato col referendum il tentativo di risolvere la questione in senso unilaterale e centralistico la contraddizione tuttora rimane.

In realtà il citato art. 114 modificato or sono quindici anni (a dispetto dei distratti assertori dell’immobilismo trentennale) aveva profondamente innovato nella concezione fondamentale dello Stato. I costituenti del 1948 ne avevano già radicalmente cambiata la natura, scegliendo per la Repubblica un modello di “stato-comunità” di tipo anglosassone fondato sulla pluralità dei poteri, scartando il modello “stato-persona” di stampo francese. Superando pertanto il centralismo che dalle origini risorgimentali (unico punto di incontro tra Mazzini e Cavour versus Gioberti e Cattaneo) si era poi consolidato col regime totalitario fascista.

Ebbene l’art. 144 del 2001 riuscì (solo nelle intenzioni, per carità!) a fare un ulteriore passo avanti: passare da “la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” al percorso inverso “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Lo Stato non è più un principio, ma un gradino dell’ordinamento repubblicano; peraltro passibile di ulteriori sviluppi potenzialmente estendibili all’Unione Europea e (perché no? non poniamo limiti alle speranze) a un utopico governo globale! Partendo dalla comunità locale sarei infine cittadino del mondo!

Qui e ora però si tratta di adeguare legislazione ordinaria e politiche attuative al riconfermato disposto costituzionale. Le Province scampate all’abolizione vanno ripensate, nelle dimensioni territoriali e nei poteri, superando la legge Delrio divenuta politicamente, se non anche giuridicamente, incompatibile. Occorre un’armonizzazione con le Città metropolitane restituendo l’elezione diretta, di cui godono paradossalmente i Municipi ex-decentramento urbano sconosciuti all’ordinamento! Provare a chiarire “chi deve fare che cosa” per rendere trasparenti e responsabili le istituzioni democratiche ed efficace la pubblica amministrazione che funge da “braccio secolare” verso i cittadini.

 

Valentino Ballabio



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