14 dicembre 2016

MILANO FINANZIARIA E REFERENDUM

Abbiamo qualcosa da dire per noi e per il Paese


Capitale morale di una retorica dimenticata ma tuttora capitale economica, Milano si muove anche politicamente. A parte vicende quasi secolari, anni fa nella sua periferia è nata la Lega e nel centro dei suoi affari Forza Italia, con Berlusconi prototipo di Trump; e ancora, via Casaleggio e Associati, la democrazia elettronica del Movimento 5 Stelle, prototipo minore del movimentista Trump, che lo ha perfezionato nell’elementarità dei tweet.

06gario41fbVotando di misura per il SI al referendum istituzionale, diversamente dal resto dell’Italia, Milano è stata certo attenta alle possibili ricadute finanziarie dell’ennesima replica della resilienza italiana, cambiare tutto mentre nulla cambia. Stavolta l’occasione è più importante di quanto forse sembri. Al di là delle possibili conseguenze sui nostri equilibri finanziari (nostri di chi non ha già reinvestito in bond tedeschi, ora americani, liquidità avute magari senza interessi), il referendum è una preziosa occasione per ragionare su un fatto che conta più del referendum e accomuna, forse inconsapevoli, Renzi e i suoi oppositori.

Il dato che condividono è l’orizzonte comunque e sempre interno, lasciando quello internazionale sullo sfondo dei nostri regolamenti di conti domestici. Importanti, va da sé, ma non tanto da far sì che il resto del mondo attenda rispettoso che abbiamo finito. Abbiamo perso un’occasione unica quando Renzi non ha messo a frutto esperienze e relazioni maturate da Prodi anche come presidente UE, in un contesto europeo e mondiale dove si gioca solo in squadra, magari nazionale ma con un unico team, come si usa dire, che gioca nella metà campo propria e altrui.

Da tempo, il campionato è unificato: nazionale-europeo-globale insieme. Non è ufficiale, ma lo si sa, per ragioni tecnologiche innovative e finanziarie antiche. Se si conta qualcosa in Europa e fuori, come tutto sommato è per noi, l’interdipendenza conta e dà peso ai comportamenti. Poiché il nostro bilancio statale dipende dalla fiducia della finanza globale, l’interdipendenza conta anche di più, e i comportamenti sono valorizzati in continuo a nostro vantaggio o a nostre spese.

L’errore capitale di Renzi, condiviso dagli altri, di non dare il dovuto peso al contesto europeo e internazionale, un po’ a forza e molta benevolenza, può essere ricondotto a fattori personali. Ma la fascinazione della Lega per Putin e il nazionalismo, in quanto espressione dell’elettorato italiano, non può essere derubricata come incidente di percorso. Anche il prototipo berlusconiano di Trump, che ci ha già fatto commissariare una volta, non può essere riciclato come contributo fattivo alla cooperazione internazionale, specie in un’Europa ipoteticamente messa tra parentesi tra Russia e Brexit. Con l’aggravante della democrazia elettronica dei 5 Stelle, che ci vogliono fuori dall’euro, non si sa per andare dove, in un mondo dove persino gli USA di Trump reclamano indietro la loro sovranità nazionale.

Come l’elezione presidenziale austriaca tenutasi lo stesso giorno, il referendum è un’opportunità preziosa, da non perdere, per scegliere in quale mondo vivere: quello italiano (meglio, nazionalista) di farci i fatti nostri, oppure quello dove gli altri promuovono i propri interessi e priorità dialogando con il resto del mondo, a cominciare dai nostri partner europei. La scelta ha dei costi, ma sono quasi tutti sul piatto nazionalista della bilancia, per ottusità prim’ancora che egoismo. Non da oggi o ieri, ma dalla cosiddetta prima repubblica nello scorso millennio, il nostro bilancio statale regge sulla fiducia della finanza internazionale (inclusa l’italiana a colori esteri). Per straordinarie circostanze politiche internazionali, ma anche per il nostro impegno e la credibilità personale di chi allora ci rappresentava, fummo accettati a malincuore nell’area euro, pur se a condizioni meno favorevoli del possibile, per un altro Paese. Poi ci siamo comportati come cicale, come temuto da chi non ci voleva, in continuità sostanziale e voluta tra le repubbliche cosiddette prima e seconda.

Se ora noi elettori italiani dimostriamo di continuare a non (voler) capire in che mondo viviamo, la finanza internazionale può agevolmente rivalersi sulla nostra ricchezza privata, ben nota nel mondo nonostante la crisi e lo stato deplorevole della nostra finanza pubblica, derivata (ante litteram) dalla sua ampia privatizzazione via evasione/elusione fiscale, privilegi, malaffare. Come l’Argentina, per chi voglia documentarsi.

Al momento, il quantitative easing confermato dalla BCE di Draghi tiene alto il morale dei mercati finanziari, incluso il nostro milanese, che preferiscono avere la loro dose abituale di liquidità per la solita agevole via, piuttosto che per quella faticosa della minaccia di fallimento di uno stato. In ogni caso, a Milano abbiamo qualcosa di importante da dire e fare nell’interesse nostro e degli italiani, anche all’estero.

 

Giuseppe Gario

 



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