23 novembre 2016

VIA PADOVA, RUMORE O SILENZIO? DI CHE COSA C’È BISOGNO DAVVERO

Un ritratto di comodo o l’ineffabile leggerezza dei media?  


Come trasformare, in pochi giorni, una strada stretta tra difficoltà sociali e d’integrazione in un Far West inavvicinabile. Come aggiungere paura a paura: questo crescendo di pubblicità alla rovescia non fa bene a via Padova né alle altre periferie milanesi che si riconoscono negli stessi problemi, dall’incuria all’emergenza abitativa. I fatti di cronaca – ultimo l’omicidio di un immigrato sudamericano all’inizio della via, quasi all’angolo con piazzale Loreto – non hanno portato alla ribalta realtà nuove o sconosciute. Non è neppure la prima volta che, in risposta a un episodio di criminalità o violenza, si torna a parlare di intervento dell’esercito; anzi, nel recente passato, sei-sette anni fa, questa fase era già stata vissuta: stesso tentativo, non riuscito, di soluzione. Che cosa è cambiato, quindi?

07poli38fbA presentare come imminente il ritorno dei militari nelle strade è ora il sindaco di centrosinistra che aveva peraltro già preventivato in campagna elettorale quest’eventualità. Con il centrosinistra si continua a identificare però una visione diversa, anche dell’ordine in città, per cui si è meno propensi ad accettare da questa parte politica una misura drastica che sa di scorciatoia. Se la sicurezza non è un tema da “lasciare” alla destra – lo avevamo già sottolineato qualche settimana fa su queste pagine – tuttavia qualunque restrizione come immediata risposta a un disagio profondo risulta in questo momento più che mai inaccettabile.

Ma facciamo un passo indietro: si è pensato di agire su questa linea perché è davvero virata al peggio la realtà o si è modificato invece l’occhio che la osserva? Non può essere stato solo il cambio di amministrazione in quanto tale, in Comune o al Municipio 2, a innescare il processo che fa sembrare via Padova più pericolosa; e tanto meno si può sostenere, se non in cattiva fede, che la situazione attuale possa essere scaturita dal “non fatto” degli ultimi cinque anni. Quello che viene visto oggi sotto la lente d’ingrandimento c’è sempre stato, ma a tratti emerge con maggiore evidenza. A essere sostanzialmente cambiata è la percezione delle cose e ciò ha comunque un forte peso perché in qualche modo autorizza un intervento di rottura vissuto come uno strappo, nella diffidenza generale più che nel plauso incondizionato.

Proprio così, la sicurezza, come riconosce lo stesso premier Renzi – chiamato in causa da Beppe Sala sui recenti eventi milanesi – è innanzitutto questione di percezione: non importa se, dati alla mano, i reati in zona e in città non sono aumentati, ma addirittura diminuiti rispetto allo scorso anno e ai precedenti; conta di più quanto l’inquietudine e il senso d’allarme riescano a sopraffare la volontà di vivere la zona, la capacità e l’interesse a fare e produrre in positivo.

Che cosa ha modificato l’idea di sicurezza (o insicurezza) in via Padova? C’è da una parte la cronaca, e da questa non si prescinde, fatta salva la scelta di attribuire ad hoc più o meno rilievo a una notizia a seconda dello scenario che le fa da sfondo; dall’altra ci sono situazioni esasperate da un indeterminato protrarsi del degrado, da sempre tra i temi più facili e “battuti” nei giornali locali. Un esempio, per chi non li conoscesse, sono i giardinetti di via Mosso, poco prima del ponte della ferrovia e vicino al Trotter: pochi metri quadrati di verde abbandonato condensano, insieme all’umanità disastrata che li frequenta, tutto il bisogno di cura e rinnovamento del territorio. Eppure, all’immagine delle pattuglie nelle strade molti si ribellano. Non parliamo dei “soliti”, cittadini attivi e informati, consiglieri di centrosinistra, volontari delle associazioni; anche tra i residenti più critici e allarmisti si leva una sorta di moto d’orgoglio, perché argomenti delicati si stanno affrontando ai livelli più disparati, in modo superficiale e quasi mai nelle giuste proporzioni.

Persino chi fino a ieri denunciava l’emergenza e chiedeva al Comune un interventismo più deciso tende adesso a ridimensionare e a gettare acqua sul fuoco, che ce n’è tanto bisogno. Non ci si riconosce in questo quartiere da coprifuoco: “Via Padova non è questo. Torno a casa tardi la sera e non mi è mai successo nulla, non mi sento minacciato”. La gente è capace di guardare, per fortuna, e non si lascia influenzare più di tanto. Sulla 56, il bus che attraversa la via da piazzale Loreto al quartiere Adriano, le voci in sottofondo manifestano, a sorpresa ma non troppo, una reazione all’ennesima ondata di negativismo mediatico. Un conto sono le proteste; ma a essere etichettati in blocco come ghetto gli abitanti di via Padova non ci stanno. Per quanto se ne dica, sono migliaia gli italiani e gli stranieri che varcando il “cancello” di piazzale Loreto verso via Padova si sentono a casa: una casa fatta di luci, negozi, pizzerie, punti di ritrovo; soprattutto di persone, di identità e di una solidarietà diffusa nella quale ci si incontra.

Esiste una via Padova Viva, e questo è anche il nome della pagina Facebook, nata oltre un anno fa e riattivata ora con l’intento di porre in rilievo le iniziative positive sul territorio. Nessuno sostiene che l’attenzione ai problemi sia mai troppa, non si vuole trascinare nell’oblio ciò che non piace guardare. L’attenzione è fondamentale, così come la convergenza di risorse nel rafforzare la coesione: insieme a istituzioni, cittadini e associazioni, anche le forze dell’ordine locali. Eppure ci sono momenti in cui il rumore, quello sì, è troppo e controproducente. Per questo i commercianti, gli insegnanti, gli operatori culturali, i residenti e i lavoratori non possono non diffidare della direzione che l’amministrazione intende intraprendere e si moltiplicano le sollecitazioni al Sindaco e agli assessori per ottenere altre forme di rassicurazione (e azione) incentrate, piuttosto, sul tessuto sociale e i suoi punti deboli. Di pochi giorni fa è la lettera aperta a Beppe Sala “in difesa” di via Padova, scritta dall’associazione Villa Pallavicini che ha sede a Crescenzago.

Il rischio, evidente anche a chi non lo ammette, è che i soldati nelle strade, anziché spegnerle, possano innescare ulteriori scintille. La “politica della paura” – come già è stata definita sui social – può fare molti danni, proprio come i titoli dei telegiornali che assecondano questo clima. Forse un po’ di silenzio ritrovato sarebbe la giusta premessa per nuove riflessioni, finalmente costruttive e non catastrofiste.

 

Eleonora Poli

 



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