21 settembre 2016

VIA PADOVA E IL MUNICIPIO 2 DOPO IL VOTO DI GIUGNO

Per non tornare indietro, che fare?


Nelle ultime settimane due pensieri si sovrappongono in chi da sempre lavora sul territorio, in quest’area della città: non è ponendo l’accento su ogni singolo episodio di degrado e violenza che le situazioni difficili possono migliorare; ma neppure nascondendo la testa sotto la sabbia. E se le fragilità irrisolte si accentuano nei periodi di crisi, critico è anche un passaggio di consegne come quello attuale. Il Municipio 2 sta vivendo in pieno, fin dal primo giorno, la contraddizione di una città amministrata dal centrosinistra e una zona dove ha vinto il centrodestra. È irrinunciabile che i due soggetti politici trovino il modo di interloquire, ridefinendo le priorità d’intervento: eppure al momento non sembra proprio si stia andando in questa direzione.

06poli30fbLa partenza a rilento dei lavori del Consiglio si inserisce nel quadro di questo rientro dalle ferie 2016, con l’abituale senso di “sovraffollamento” a tutti i livelli che torna a contraddistinguere i quartieri. Coesistenza del diverso tra difficoltà d’integrazione, contesti di abbandono e infinite solitudini incapaci di comunicare tra loro prendono la forma di un malessere che si esprime nei bivacchi notturni, nelle micro rapine in farmacia, nei piccoli incendi dovuti all’incuria, nella ripresa dello spaccio. Niente di più scontato che, di fronte a eventi non inediti, il nuovo presidente Piscina – Lega Nord – insieme ai consiglieri di opposizione in Comune, calchi la mano sulla sicurezza.

È invece la reazione del centrosinistra quella che interessa. Sta ora ai diversi partiti e gruppi rafforzare (o modificare) un’identità di vedute e azioni in risposta alle questioni aperte: per poter giocare in attacco e non di rimando, assumendo posizioni proprie da cui partire anche in vista di un futuro dialogo con il centrodestra. Scrive Federico Chendi, SinistraxMilano: “Parlare di degrado a sinistra è un tabù, ma è forse di sinistra pensare che nelle periferie possa succedere di tutto? Negli ultimi mesi sono molteplici i segnali negativi che la zona sta lanciando.” Importante è che tali segnali non vengano cavalcati “solo da una certa destra, populista e allarmista”.

In tanti a sinistra non temono di porre in rilievo ciò che non va, anzi. Preferiscono essere loro a farlo, prima che le stesse realtà siano trasmesse all’opinione pubblica nei toni più controproducenti. Negli ultimi cinque anni molti rancori non si sono mai sciolti, ma era come se fossero tenuti sotto la cenere da grandi speranze, soprattutto da quell’idea di partecipazione che, pur non concretizzata a pieno, rimaneva il denominatore comune di programmi, iniziative o progetti.

Era perlomeno un antidoto agli individualismi più distruttivi. Si riacutizza ora invece un senso di appartenenza molto limitativo che non va al di là dei rispettivi circondari, classi sociali, etnie, professioni o fasce d’età.

Tutto al di fuori è estraneo, addirittura da osteggiare. Al quartiere Adriano, i genitori dei bambini della scuola S. Mamete, preoccupati per le bonifiche dell’amianto non ancora ultimate in una parte dell’edificio, sono estranei ai problemi degli anziani – magari vicini di casa – che vivono con più urgenza altri risvolti della sicurezza. L’incomunicabilità è reciproca, comunque, i problemi degli altri contano sempre di meno. Sarà più giusto spendere soldi per la nuova scuola media o per i controlli nelle strade, sarà meglio investire su via Padova o viale Zara?

Ovviamente non si tratta di scelte in discussione, su nessun tavolo; ma anche la sola, lontana ipotesi di essere “più trascurati” degli altri inasprisce alla radice qualunque discussione. Guai a chi osa anteporre un degrado a un altro. In questo sovrapporsi di particolarismi, tutto il resto va alla deriva: così via Padova torna sui giornali solo in seguito alle risse dei sudamericani, il centrodestra minaccia manifestazioni di residenti e prospetta le solite inutili, strumentali raccolte di firme, invoca presidi fissi delle forze dell’ordine, o la presenza stabile dell’esercito.

Tramontata, nella mente delle persone prima ancora che nell’agenda politica, la forza propulsiva della partecipazione, via libera alla mentalità del passato che toglie spazio ad altri modi di vivere, e gestire la paura. Già, gestire la paura: da sempre è questa la chiave. Perché diffondere panico e infiammare gli animi è facile, costruire un’opzione diversa richiede sforzi immani. Sarà per questo che in molti avvertono ora come un senso di “tutto da rifare”? Non sono cambiate tanto le condizioni materiali quanto la fiducia nel fronteggiarle. Con alcuni limiti, è sulla linea della fiducia reciproca e della condivisione che si era mosso il Consiglio di Zona, ora Municipio 2, nella passata consiliatura.

Veniamo al presente: se l’opposizione qui è diventata maggioranza, Giuseppe Sala è però sindaco di centrosinistra e sottolinea spesso l’obiettivo primario di una Milano che “non corra a due velocità”. C’è un delegato alle periferie, Mirko Mazzali, che proprio dai quartieri aspetta gli input per avviare un lavoro (a breve verrà organizzato un incontro pubblico in zona). È stato anche istituito un assessorato alla partecipazione, ancora tutto da riempire di contenuti. Uno sguardo al Municipio 2 fa tuttavia pensare che la città “attrattiva e internazionale” non possa che passare attraverso una visione universale delle singole criticità, dalla più complessa alla più banale. Lo stesso spirito dovrebbe animare i provvedimenti per la manutenzione dei parchi, l’emergenza abitativa e sociale di via Clitumno e via Cavezzali, le scelte sulla multiculturalità e sulle strade sconnesse.

Tutto accomunato da un filo rosso di “civiltà urbana”. Prima responsabilità di Sindaco e Assessori dovrebbe essere la ricerca di un metodo di risoluzione alternativo a quello repressivo. Come convincere ogni abitante di via Padova, Greco o Precotto che la costrizione inasprisce di più gli animi e istiga una violenza già fomentata da fattori sociali? Anche la sola “spinta” a un coinvolgimento attivo in ciò che accade può ottenere risultati più incisivi di un divieto o una sanzione. Nelle strade occupate dalla gente per iniziative pacifiche, solidali e aperte, dove si fanno almeno prove di coesione, alla criminalità e all’incuria non rimane materialmente spazio, mentre si creano fessure di ascolto e dialogo indispensabili per capire e cercare rimedi. Basti pensare alla recente festa di PopolandoMi e a tutte quelle occasioni in cui la gente scende in strada per incontrarsi e non per scontrarsi. Quando si valuterà seriamente, anche nelle sedi istituzionali, che la vera innovazione è aprire e non chiudere?

 

Eleonora Poli



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