11 maggio 2016

RECUPERO URBANO: TRA RUOLO DELLA PROPRIETÀ E FUNZIONE DELL’URBANISTICA

Come intervenire nei limiti di legge


In un recente articolo pubblicato sul Corriere della Sera (28 aprile 2016) si è parlato di un’indagine condotta da un gruppo di lavoro del Politecnico di Milano nell’ambito del progetto “Ri-Formare Milano”, che ha portato a un Monitoraggio di 262 aree o fabbricati abbandonati (oltre ad altri ancora non censiti), rispetto ai quali il Politecnico ha elaborato una serie di proposte per il riuso. Molti di questi immobili sono dismessi da attività produttive, terziarie, commerciali, ma vi sono anche immobili pubblici in questo stato. (n.d.r. vedi anche Morandi su questo numero)

04bazzani17FBIl tema del degrado derivante dalle dismissioni e la necessità del recupero degli immobili dismessi è stato oggetto di svariati interventi legislativi. Limitandoci alla nostra Regione, basta leggere la Legge regionale urbanistica n. 12/2005 e le sue successive modifiche, per cogliere che tra i criteri ispiratori della pianificazione lombarda vi è quello della rigenerazione urbana, del recupero e della riqualificazione delle aree degradate o dismesse, che possono compromettere sostenibilità urbanistica, tutela dell’ambiente e gli aspetti socio-economici. Insomma la dismissione costituisce un grave pregiudizio territoriale, sicché il recupero è attività di pubblica utilità e di interesse generale. Per questa ragione, la legge sul consumo di suolo (Legge regionale n. 31/2014) ha stabilito che il Documento di piano, nella definizione degli obiettivi quantitativi del PGT, tenga prioritariamente conto della presenza di patrimonio edilizio dismesso o sottoutilizzato, da riutilizzare prioritariamente garantendo il miglioramento delle prestazioni ambientali, ecologiche, energetiche e funzionali. La Regione Lombardia (Legge regionale n. 4/2012 che ha introdotto l’art. 97-bis della Legge regionale n. 12/2005) accorda ai Comuni anche la facoltà di sollecitare i proprietari a presentare progetti di recupero e, in caso di mancato riscontro, di intervenire autoritativamente con varianti urbanistiche per il recupero stesso.

Il vigente Regolamento Edilizio del Comune di Milano (art. 12) ha fatto propri questi principi imponendo ai proprietari obblighi di manutenzione e decoro per evitare degrado, occupazioni abusive e pericoli per sicurezza e incolumità e prevedendo la possibilità di interventi autoritativi, di carattere – necessariamente – espropriativo.

Il Monitoraggio del Politecnico dimostra che per attuare interventi di recupero non sono sufficienti gli obiettivi legislativi e i programmi amministrativi, soprattutto in tempi di incertezze sullo sviluppo della collettività, che portano anche a ristrettezze economiche; allora: che fare? È ormai comune sentire che l’attività di pianificazione non ha solo la funzione di disciplinare le potenzialità edificatorie in rapporto alle proprietà, ma è chiamata a garantire l’armonico sviluppo del territorio nel rispetto dei bisogni collettivi, della natura dei luoghi e di un modello di sviluppo sostenibile.

In questo modello è essenziale la collaborazione con i privati; non a caso la Legge regionale n. 12/2005 (art. 2) afferma che il governo del territorio si caratterizza anche per la partecipazione diffusa di cittadini e associazioni e per la possibile integrazione dei contenuti della pianificazione da parte dei privati. La partecipazione dei privati alla pianificazione si giustifica con la funzione sociale della proprietà. Si tratta, in buona sostanza, di incentivare – anziché strumenti ablatori costosi per le finanze pubbliche – procedimenti di “urbanistica contrattata”, che incentivino il recupero e il miglioramento, da parte dei proprietari, del patrimonio immobiliare esistente.

Il titolo abilitativo degli interventi deve quindi rappresentare il punto di equilibrio tra il principio di libertà della scelta del proprietario e il bene comune perseguito dalla pubblica amministrazione.  Si tratta di trovare degli strumenti – in una visione strategica dello sviluppo della città –  capaci di coniugare le esigenze di riqualificazione urbana, con quelle di sostenibilità economico-finanziaria degli interventi rispetto al mercato e le esigenze temporali di assunzione delle decisioni. La recente esperienza del periodo dell’esposizione universale, ad esempio, ha dimostrato come gli usi temporanei possano rappresentare uno strumento efficace di riuso della città in attesa dell’avvio di piani e programmi complessi.

Su tutto si impone un patto di reciproca  e leale collaborazione, che passa attraverso  una semplificazione sostanziale – e non formale – dei procedimenti amministrativi, grazie a un’Amministrazione capace di condurre tempestivamente i procedimenti verso le decisioni e una capacità propositiva ed elaborativa degli operatori privati.

 

Alessandra Bazzani



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