2 dicembre 2015

LA VICENDA DEL PORTELLO È UNA SCONFITTA DELLA CITTÀ


Sono stato testimone diretto della vicenda della riqualificazione urbana dei padiglioni 1 e 2 di Fiera Milano City al Portell, che con la marcia indietro dello stadio del Milan e l’assegnazione dell’immobile al gruppo Vitali per realizzare il progetto Milano Alta, sembra volga al termine L’architettura del progetto Magnete Milano, terzo classificato, era infatti curata da Atelier Traldi e Caruso Mainardi Architetti (mentre il concept era di Hublab).

06caruso42FBLa vicenda, che ha segnato un’autentica sconfitta per la città e per la capacità di direzione politica della sua amministrazione, ha inizio alla fine del 2014 con la pubblicazione del bando per raccogliere “manifestazioni di interesse”. L’obiettivo era “… l’inserimento di funzioni compatibili e di interesse generale collegate … ai bisogni della città”. Era richiesto il requisito di avere realizzato nello scorso decennio “operazioni di riqualificazione urbana analoghe a quella oggetto della proposta presentata”. E le proposte dovevano risultare conformi all’Accordo di Programma, che prevede la normativa urbanistica e le attività ammesse – tutte le attività, ad esclusione della residenza e delle grandi superfici commerciali.

Fondazione Fiera ha selezionate tre proposte, con caratteristiche diverse: lo stadio del Milan, il progetto Milano Alta e il progetto Magnete Milano. Tre progetti che sottendevano modi di pensare il futuro di quel luogo e di quella parte di città molto lontani tra loro.

Sullo stadio del Milan c’è poco da dire. Era una proposta di innesto violento e incompatibile con il contesto, non avendo nulla a che vedere con gli stadi urbani londinesi – continuamente citati fuori luogo – che sono stati costruiti insieme agli insediamenti, come stadi di quartiere. Senza considerare che la proposta era priva di due condizioni: non era conforme all’Accordo di Programma, e il Milan era privo del requisito di avere già realizzato operazioni di riqualificazione urbana.

Il progetto Milano Alta, del gruppo Vitali di Bergamo, prevedeva di trasformare l’immobile (progettato negli anni ’80 da Mario Bellini) all’interno del suo involucro, compreso il monumentale timpano. Le attività proposte erano prevalentemente commerciali, condite con attività ricettive, dell’alimentazione, della promozione di prodotti tecnologici, dello sport, della moda e dell’entertaiment.

Il terzo progetto, Magnete Milano presentato dal gruppo Prelios, proponeva un punto di vista davvero alternativo agli altri due. Voleva essere, innanzitutto, un contributo alla costruzione della città policentrica, mirando a realizzare un attrattore di attività selezionate tra quelle che alimentano socialità. Non, quindi, l’ennesimo centro commerciale (a nord c’è già il centro Portello, a sud il centro commerciale che sarà aperto a CityLife), ma un’occasione di lavoro e di ricerca, di occupazione qualificata, un mix di attività capaci di “fare città”. Un nuovo grande spazio pubblico sfondava il massiccio volume dell’ex padiglione, rimuovendo la campata centrale – delle tre campate prefabbricate di cui è composto – e formando una corte profonda, le cui misure e proporzioni risultavano analoghe a quella degli Uffizi. Il progetto offriva alla città un nuovo luogo, connesso al piano terra e in quota (un ponte pedonale attraversava viale Scarampo) con il contesto abitato. Piazza Gino Valle, che oggi è uno spazio deserto e cieco, si espandeva articolandosi tra nuove attività. La trasformazione comportava la rimozione del timpano – invecchiata icona residuale della “Milano da bere” – e la formazione di una torre, a fare da snodo tra i due spazi pubblici, volume verticale corrispondente al volume orizzontale rimosso per realizzare la corte.

Un parco tecnologico (versione interattiva e digitale del museo della scienza), una grande spazio per l’arte, un polo musicale con scuole e sale prove, ambulatori e day hospital, un centro di produzione e manutenzione di biciclette, hotel, spazi ricreativi diversi e piccole attività commerciali di servizio a quelle principali, costituivano l’offerta.

L’atteggiamento di Fondazione Fiera è stato da subito chiaro, puntando esclusivamente al reddito che ne avrebbe ricavato. Con una sequenza di rilanci sull’ammontare dell’offerta del canone annuale, e inserendo ad ogni fase dell’offerta nuove richieste (dalla cessione chiavi in mano di un hotel di 350 camere, al rinnovo delle facciate dei padiglioni non oggetto della manifestazione), il confronto si è trasformato di fatto in un’asta informale e non trasparente. Un atteggiamento legittimo per un ente di diritto privato, ma certamente molto lontano dal programma annunciato nel bando, che citava i “bisogni della città” tra gli obiettivi da perseguire nell’aggiudicazione.

In una sfida così muscolare, la proposta di Magnete Milano non poteva che risultare ultima, dietro al Milan che accettava qualsiasi rialzo e dietro ai promotori di Milano Alta, anch’essi all’inseguimento dei rialzi richiesti da Fondazione. Il Milan offriva 4,3 milioni/anno, Milano Alta 4,0 milioni e Magnete Milano da un minimo di 2,7 ad un massimo di 3,4. L’offerta di Magnete Milano era fin dall’inizio commisurata al piano finanziario costruito sugli effettivi rendimenti delle attività progettate, come è prescritto per una società quotata in borsa, e coerente con un progetto caratterizzato da minori superfici dedicate alle attività commerciali più redditizie. Senza contare gli equivoci sulla bonifica dell’area: è mai possibile che un ente attrezzato come Fondazione Fiera non si sia dotato di una indagine preventiva sui costi della bonifica dell’area su cui insistono i propri immobili?

Poi l’ultima fase convulsa, la marcia indietro sia del Milan che di Milano Alta rispetto alle offerte presentate, la rinuncia del Milan e l’aggiudicazione al secondo candidato. Il quale, alla resa dei conti, pagherà un canone annuo (1,5 milioni iniziali e poi 3,0 milioni) inferiore a quello proposto diversi mesi prima dal terzo candidato.

E il Comune? Il Sindaco e la Giunta hanno mantenuto un assoluto silenzio, come se si trattasse degli affari di uno qualsiasi dei mille piccoli operatori privati della città. Il timore di apparire dirigisti ha impedito all’Amministrazione di dire la sua, di esprimere un parere preventivo su una scelta urbanistica così importante. Poi il Comune avrebbe dovuto comunque esaminare il progetto e autorizzarlo. Ma, se il Milan non avesse rinunciato all’aggiudicazione, il Comune avrebbe poi avuto – anche ammesso (e non concesso) che tutta l’Amministrazione lo volesse – la forza per negare l’autorizzazione a un progetto appoggiato da Fiera, Giunta Regionale, ecc.? Non era opportuno esaminare prima i tre progetti e fare politica urbanistica, mettendo in primo piano l’interesse della città, per condizionare la scelta di Fondazione? Perché non aprire un dibattito pubblico, coinvolgere gli organi del decentramento?

Il tema – sul quale continuo a insistere – è che, in mancanza di un’”idea di città”, la politica diventa debole o assente. Si sono ridotte le volumetrie del PGT, ma poi non si è stati in grado di orientare le scelte che determinano la costruzione della città. E si sono buttate occasioni, come questa del Portello, per promuovere un processo di rigenerazione di un pezzo di città.

È chiaro che le elezioni si vincono se c’è una faccia convincente a rappresentare un programma, ma il programma deve essere subito chiaro e forte, espressivo di una volontà politica determinata.

 

Alberto Caruso

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