21 ottobre 2015

FUGA O CONFINO? RIFLESSIONI DI UN GIOVANE RICERCATORE AL POLITECNICO DI ZURIGO


La fuga di cervelli è un concetto che è diventato sempre più di attualità negli ultimi tempi. Dopo aver lasciato da parte la rassegnazione, la rabbia e l’insofferenza che ho provato in serie nei confronti del mio paese e delle sue possibilità ho deciso di fare alcune considerazioni a freddo riguardo questo tema. La domanda che mi pongo è la seguente: la fuga di cervelli è davvero un grande problema o è invece una gran bella scusa?

12cingolani36FBPer quanto riguarda i cervelli, posso dire che la mia esperienza personale mi porta a riscontrare che molte persone all’estero ricoprono posizioni che non è vero che non esistono in Italia. A chi volesse ribattere che questo sia dovuto al fatto che il lavoro fuori dall’Italia viene cercato e accettato più volentieri perché è meglio retribuito, vorrei rispondere che se questo fosse vero allora non dobbiamo più parlare di fuga di cervelli ma di emigranti. Di fatto quindi i giovani escono dall’Italia per fare gli immigrati specializzati. Se mettessimo il problema in questo senso forse cambierebbe anche l’atteggiamento rispetto a esso. Chi vorrebbe dire “Mio figlio è un emigrante” rispetto a “Mio figlio è troppo bravo per questo paese”?

Ho letto recentemente su Repubblica.it che il numero di giovani emigranti italiani verso l’Inghilterra è aumentato del 37% nell’ultimo anno. La domanda che vorrei porre è la seguente: considerando i tipi di lavori che mediamente i ragazzi che si recano fin là fanno, si può dire veramente che vanno nel Regno Unito per trovare delle migliori possibilità o è invece una questione di diversa flessibilità e differente regolamentazione del mercato del lavoro? Per essere ancora più provocatori: non è che quelle persone sono andate in Inghilterra per trovare qualcosa di simile al Jobs Act? Alla faccia di qualche sindacalista garantito, residente in Italia.

Per quanto riguarda la fuga, spesse volte per i giovani, dopo essersi specializzati all’estero, il rientro risulta improbabile. Non solo nessuno si è preoccupa di riaccoglierli e sfruttare le loro nuove competenze, ma spesso non li si prende proprio in considerazione, come fosse ovvio che non debbano tornare. Alcune volte li si considera pure inadatti e ancora peggio gli si chiede perché vogliano ritornare nel loro paese. Ovviamente il paradosso è che mentre questo accade regolarmente, giornali, televisione e radio riportano discussioni di ogni genere sulla fuga dei cervelli.

Allora l’altra domanda che sorge spontanea è: ma non è che proprio chi parla di fuga alla fine è chi ha più da guadagnarci? In fondo io mi guardo intorno e mi rendo conto che dopo la mia esperienza estera ci sono cose che non sono disposto a tollerare, come ad esempio le raccomandazioni o i familismi (non perché all’esterno non esistano, ma piuttosto perché fuori dal mio paese ho dovuto imparare a cavarmela da solo). È dunque evidente che le persone con il mio percorso alle spalle sono elementi scomodi nel sistema Italia. In fondo se i migliori, i più intraprendenti o i più indipendenti se ne vanno “da soli”, inseguendo il mito di un’aspettativa migliore fuori dall’Italia, sarà più facile sistemare il raccomandato, il figlio o il cugino di turno.

Forse non sarebbe allora meglio parlare di “confino dei cervelli” invece che di fuga? Almeno ci si renderebbe conto del fatto che la scelta non è sempre volontaria, ma spesso indotta. Vedere la situazione sotto questa luce può sembrare un po’ estremo, ma mi sembra che sia invece un ottimo punto di partenza per rendersi conto della situazione attuale e cercare di trovare una direzione concreta per cercare di migliorarla.

 

Alberto Cingolani

 

N.B. Per discutere di questo ed altro abbiamo pubblicato on-line queste riflessioni su IDEEZ.ORG (Italiani Democratici E Europeisti a Zurigo).



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