23 settembre 2015

GIOVANI: RESTARE IN ITALIA SOLO SE CAMBIA


C’è un dato che parla più di tutti. E lo rivela l’ultimo Rapporto giovani curato dall’Istituto Toniolo di Milano (qui sotto tutti i dati). È una cifra chiave per capire la generazione EasyJet (laurea in tasca e un biglietto di sola andata per l’Australia o il Regno Unito), e volare oltre le letture superficiali di chi crede che questi giovani – spesso più adulti che giovani- scappino senza lottare, o di chi li giudica dall’alto dei suoi sessant’anni chiamandoli svogliati e fannulloni. Perché se per la prima volta il numero di coloro che si dicono pronti ad andare all’estero per migliorare condizioni di vita e di lavoro ha raggiunto il 60% degli intervistati (cioè sei ragazzi su dieci) è per una ragione precisa: questi ragazzi non vedono in Italia nessun segnale di cambiamento. E nessuno spazio per realizzarlo.

05favasuli32FBEd ecco che allora circa il 75% di loro risponde «poco» o «nulla» a questa semplice domanda: «Quanta fiducia hai nella possibilità che tra 3 anni le opportunità per i giovani nel tuo Paese di origine saranno migliori di oggi?». Se ci fosse un minimo segnale di miglioramento della situazione economica e politica del paese, questi giovani non se ne andrebbero mai dall’Italia. Sarebbero disposti anche ad accettare meno opportunità e salari più bassi dei coetanei d’Oltralpe. Ne è convinto il professor Rosina, docente di Demografia e curatore del Rapporto. «L’unica cosa che chiedono è essere parte attiva di un processo credibile di trasformazione, sentire di avere un ruolo, percepire che i loro sforzi ottengono risultati. Quando ciò accade, questi giovani rilasciano le loro migliori energie e si dedicano al massimo del loro impegno ed entusiasmo».

Attraverso le interviste statistiche e i contatti diretti con questi ragazzi, il team del professor Rosina si è accorto che ciò che spinge i Millennials a partire non è tanto la differenza di opportunità tra dove vivono e l’estero, quanto il non poter essere parte attiva di un cambiamento del paese, che pure vorrebbero. «È una caratteristica tipica di tutti i giovani, argomenta il professore, ma ancora più specifica di questi. Ciò che li fa soffrire è il non vedere le possibilità di contribuire a migliorare il contesto in cui si trovano». Per mancanza di accesso alle posizioni decisive o perché costretti dalle generazioni più anziane a conformarsi al loro modo di vedere le cose.

Sono ragazzi, spiega Rosina, privi di figure credibili di riferimento, di cui tuttavia hanno disperato bisogno. «Cioè figure cui dare fiducia e da cui ottenere l’auto necessario per orientare le proprie scelte, e realizzare i propri obiettivi. E invece si trovano a dover lavorare con adulti o anziani incapaci di mettersi in sintonia con loro. …. per continuare a leggere l’articolo su LINKIESTA clicca qui

 

Silvia Favasuli



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