22 ottobre 2014

PER UN PROGETTO DI RIGENERAZIONE URBANA DELLA “GOCCIA” DI BOVISA


La riqualificazione dell’ambito di Bovisa denominato “la goccia” rappresenta una delle più complesse e tormentate vicende milanesi, sin dal 1994 quando nel sito cessarono le ultime attività produttive. Da più di venti anni, gran parte dell’ambito costituisce un vuoto urbano sottratto alla fruizione dei cittadini e rappresenta una vicenda irrisolta per la città.

09oliva36FBLe prospettive di trasformazione dell’area, uno dei luoghi più accessibili dal trasporto su ferro e potenzialmente più strategici della città metropolitana, hanno visto susseguirsi complicati e irrealistici scenari d’intervento, causati dalla difficoltà di conciliare i diversi obiettivi e interessi in campo, dalla necessità di far fronte a un costoso e necessario intervento di bonifica, dalla conseguente modificazione nel tempo del quadro urbanistico e normativo.

Anche se una qualche reazione a questo stato di cose ha permesso di insediare alcune funzioni di eccellenza, anticipatrici di uno sviluppo futuro capace di interpretare il ruolo strategico unico di questo ambito: il secondo Polo di Ingegneria del Politecnico di Milano, che ha trasferito all”interno della “goccia” di Bovisa parte della didattica e degli istituti legati all’ingegneria meccanica e aeronautica e il centro di ricerca dell’Istituto Mario Negri.

In questo nuovo quadro si colloca l’operazione lanciata dal Comune di Milano alla ricerca di una concreta e fattibile operabilità della trasformazione e di uno scenario realistico di riqualificazione dell’area, da sempre caratterizzata da una compagine proprietaria prevalentemente pubblica, cui si affiancano molteplici proprietà private minori. Negli ultimi tre anni va dato all’Amministrazione milanese di aver operato per ridare ossigeno e concretezza attuativa a progetti di trasformazione incompiuti e affaticati da una crisi economica strutturale, che rappresentavano ferite aperte nella città. Ricercando forme d’innovazione e di accompagnamento, capaci di sostenere interventi che restituissero ai territori spazi aperti e attrezzature collettive tali da completare e anticipare il disegno urbano pubblico su cui potessero prendere forma le trasformazioni future.

Con la stessa attenzione l’Amministrazione ha rilanciato il complicato processo di rigenerazione urbana di Bovisa, arenatosi da troppi anni per molti motivi non solo connessi alla questione delle bonifiche, con una serie di azioni che introducono elementi di novità rispetto a quanto fatto nelle stagioni precedenti: innanzitutto reinterpretando il destino e il ruolo dell’area quale polo di eccellenza della ricerca e dello sviluppo produttivo nella prospettiva dell’area metropolitana milanese; successivamente decidendo di conseguire i contenuti di un nuovo masterplan attraverso un bando di concorso; infine fondando su un’intensa attività di partecipazione gli indirizzi che guideranno lo stesso concorso. Un’attività che, pur essendo da poco iniziata, ha aperto la fase illustrativa del percorso progettuale in due assemblee pubbliche, coinvolgendo nella discussione cittadini, comitati e rappresentanti di Zona.

In questa fase critica per il Paese e per la città, l’amministrazione milanese ha svolto un ruolo meritorio, assumendosi un ruolo di regia attiva nella vicenda (che ha permesso di inserire Bovisa tra i progetti selezionati e finanziati dal “Piano Città”) e attribuendosi la responsabilità di un progetto di bonifica concreto e risolutivo, finalizzato alla rigenerazione dei suoli e alla tutela della salute dei futuri abitanti e utenti.

Non può essere dimenticato che nel 2001 la “goccia” è stata riconosciuta Sito di interesse nazionale (SIN) per la gravità della contaminazione causata da ottantacinque anni di processi produttivi e attività di trasformazione legate alla produzione di gas. Contaminazione che nell’area permane diffusa e profonda a causa della movimentazione dei terreni contaminati o dei rinterri che sono avvenuti sull’area soprattutto tra la metà degli anni trenta e gli anni settanta. Una contaminazione non limitata agli strati superficiali del suolo, ma presente anche in profondità, come venti anni di reiterate indagini hanno confermato e permesso di evidenziare. Ben oltre, quindi, il primo metro di influenza.

Nel 2013 il passaggio dal SIN a Sito di interesse regionale (SIR) non ha cambiato lo stato dei suoli e la gravità dell’inquinamento; ha permesso, invece, di riportare l’azione di bonifica al controllo e alla competenza comunale, consentendo, così, una maggior semplificazione delle procedure e degli iter necessari per avviare la riqualificazione dei suoli, anche attraverso un nuovo progetto di bonifica, capace di interpretare le diverse condizioni di contesto e la necessaria gradualità degli interventi, all’interno di una regia unitaria.

Le nostre leggi e direttive in merito alla bonifica dei suoli non sono più severe e restrittive rispetto a quelle di altri Paesi, che invece ci superano soprattutto nella pratica, adottando tecniche di intervento e misure di controllo assai più efficaci, con costi paragonabili, se non superiori ai nostri quando si tratta di siti pericolosamente inquinati, quali quelli di Bovisa.

È quindi paradossale affermare che la rigorosa normativa italiana sia funzionale solo al business immobiliare, tanto da arrivare a equiparare l’indispensabile attività di bonifica sui suoli contaminati alla volontà di cementificazione degli stessi. Affermazioni ancora più paradossali nel caso in questione, dove la bonifica dei suoli contaminati è finalizzata alla creazione di un parco pubblico, quale sarà il Parco dei Gasometri.

Nel 2012, infatti, il Comune di Milano ha presentato la candidatura dell’area di Bovisa (in particolare dell’ambito ex SIN) al Bando “Piano Città”, promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con Anci. L’intento era di ottenere risorse necessarie all’avvio delle operazioni di bonifica e innescare, così, un processo di riqualificazione, che da quelle prime risorse potesse successivamente avviare il completamento della riqualificazione ambientale e urbanistica del sito. Il finanziamento ottenuto, pari a cinque milioni di euro, pur inferiore a quanto richiesto è risultato sufficiente a far partire un primo lotto di intervento, relativo al Parco dei “Gasometri”, un’area di 80.000 metri quadrati, posta in corrispondenza dei due gasometri storici e di altri edifici di archeologia industriale da recuperare. L’area, che sarà destinata a parco pubblico, comprende le preesistenze di storia industriale da recuperare e si pone come elemento di collegamento tra la zona Sud e la parte Nord della “goccia”.

La normativa vigente in materia di bonifiche di suoli contaminati individua correttamente il verde pubblico tra le destinazioni urbane più sensibili alla contaminazione del suolo e pertanto ne prescrive soglie di attenzione più elevate rispetto a quelle per esempio riservate alle attività economiche (commerciali, terziarie, artigianali e industriali). Non per favorire queste ultime rispetto alle prime, ma per assicurare maggiore tutela della salute dei cittadini e degli utenti più esposti e sensibili (per esempio bambini e anziani). Queste disposizioni nazionali, non solo rappresentano un contenuto di legge perseguibile penalmente se eluso, ma costituiscono la prassi utilizzata in questi anni a Milano nella realizzazione di tutti i parchi, i giardini e le aree a verde attrezzato riutilizzando aree dismesse che presentavano suoli contaminati. Peraltro, la bonifica preventiva dei suoli contaminati ha costituito una misura che l’attuale Amministrazione ha sempre perseguito per assicurare la salubrità pubblica dei siti in trasformazione e contrastare comportamenti illeciti, frequenti in questo settore di intervento.

Credo, pertanto, che l’idea di rinunciare a un organico progetto di rigenerazione della “goccia” per favorire la conservazione integrale della vegetazione spontanea cresciuta in questi venti anni sia impraticabile e inopportuna. Impraticabile in quanto priva dei requisiti minimi di legge per assicurare quei livelli di salubrità del suolo ai fini della fruizione pubblica, che nessuna analisi di rischio seria e circostanziata potrà eludere. Inopportuna sotto il profilo di un più consapevole disegno del suolo e degli spazi aperti e di un più interessante progetto di paesaggio che non si limiti alla semplice conferma di uno stato presente spontaneamente determinatosi, ma sappia leggerne gli elementi più interessanti da preservare e valorizzare nella prospettiva di un disegno futuro, con le stesse attenzioni che oggi si stanno riservando nel progetto del primo stralcio. E ancora di più, perché, nell’agitare lo spettro della cementificazione e sostenere la contingente condizione di vuoto urbano, rinuncia a cogliere le opportunità di rigenerazione di un’area ancora inutilizzata e inquinata, oggi sottratta alla vita urbana, destinandola al non uso e quindi di fatto a degrado per ancora molti anni, mettendo a serio rischio l’ambiente circostante e sottostante, compresa la falda.

 

Federico Oliva



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