22 ottobre 2014

LA LEGA NON C’È PIÙ: QUELLA D’UNA VOLTA


Il risultato più significativo della manifestazione ben organizzata e ben partecipata di sabato scorso a Milano è uno solo: lo scioglimento della Lega. Nata per rivendicare la separazione del nord dal sud, della Lombardia dall’Italia, del Veneto dai terroni, felice di ricordare il passato austrungarico e le origini celtiche non cattoliche delle popolazioni padane il popolo ex bossiano sabato marciava al grido: salviamo l’Italia, chi non difende i confini è un traditore, chi non salta musulmano è.

02marossi36FBUna vera e propria mutazione genetica. Esemplare la cospicua partecipazione di Casa Pound che con lo slogan “socializzazione e autarchia” caratterizzava il corteo, evidenziando anche una netta superiorità culturale rispetto agli sbragatissimi slogan salviniani incentrati sul vaffa.

È la fine di un equivoco durato decenni. La retorica secessionista padanoveneta che non si è mai concretizzata in un solo atto di governo significativo nonostante decenni di governi regionali in Lombardia, Veneto, Piemonte e il governo di decine di provincie e città e risulta essere ormai improponibile.

Vent’anni fa erano leghisti:il sindaco di Milano Marco Formentini, il presidente della regione Lombardia Paolo Arrigoni, il presidente della provincia di Milano Massimo Zanello. Mai nessun partito ha avuto un ruolo così significativo, mai le realizzazione concrete sono state così modeste in relazione agli obiettivi. Successivamente Albertini e Formigoni hanno imbrigliato, cloroformizzato e svuotato di ogni significato la partecipazione dei leghisti ai governi locali.

Da allora il declino del ruolo politico e amministrativo della Lega è stato costante. Così come è stato costante ma non uniforme il calo degli elettori. Paradossalmente per un partito che dell’identità localistica faceva vangelo, nelle elezioni in cui c’è una minore partecipazione al voto e una scarsa relazione tra eletti e territorio, come le europee la Lega va meglio.

Nell’ultima tornata delle amministrative la Lega non supera il 10% dei voti a Bergamo (nel 2009 era oltre il 14%), a Cremona il 7% (nel 2009 aveva l’11%), così come a Pavia dove ha perso un terzo dei suoi voti in percentuale e quasi la metà in valori assoluti. Né va meglio nei comuni non capoluogo dove anzi subisce un ulteriore erosione a favore di liste civiche varie. Va anche ricordato che alle europee del 2009 in Lombardia prese 1.221.000 voti contro i 714.000 di quest’anno.

Anche in questo c’è un elemento della mutazione genetica della Lega: non più bravi amministratori magari un pò “ciula” e naif ma profondamente legati al territorio come per anni si è detto piuttosto protestatori populisti a tutto campo. La modestia amministrativa evidenziata in questi anni dai leghisti, e in generale dal centro destra che ha consentito al centro sinistra di conquistare il governo di quasi tutti i comuni capoluogo della Lombardia pesa e ha pesato nel declino della Lega così come gli innumerevoli scandali e scandaletti ma sabato si è palesato qual è la cura di Salvini per fermare il declino: basta localismi e territorio, basta secessione ma una vision nazionalpopulista da destra tradizionale.

Si deve cambiare totalmente registro per sopravvivere e il popolo della Lega sceso numeroso in piazza ha benedetto e legittimato il cambiamento in un tripudio di bandiere da quelle dei sudisti americani ai tricolori del movimento patria sociale da quelle con i teschi a quelle della bielorussia; e di cartelli da quelli per Putin a quelli contro i clandestini, gli immigrati, Alfano ma sopratutto contro l’invasione.

Lontani gli anni in cui si poteva chiedeva l’indipendenza e si celebrava il sacro Po ma ancor più lontani gli anni degli auspicati gemellaggi (in genere respinti dagli anelati partner) con irlandesi e catalani nel mito di Braveheart. Il patetico tentativo del vecchio Bossi, gentilmente ospitato sul palco, di parlare di indipendenza ha ottenuto distratti applausi. La piazza con rispetto e anche affetto lo ha archiviato e con lui tutta la nomenclatura ministerialmaroniana. Solo alcuni impavidi giovani padani gridavano “chi non salta italiano è” a pochi metri dai ben più numerosi seguaci di Casa Pound con lo striscione “prima gli italiani”.

Diciamoci la verità l’indipendentismo sta alla Lega di oggi come il berlinguerismo al Pd di Renzi: nostalgico folklore fanè per vecchi militanti. Cos’è quindi oggi il centrale nell’identità, cultura e politica leghista? La difesa della patria dall’invasione di immigrati e di non cristiani. Nessuna secessione nessun referendum separatista ma al massimo una bavarizzazione del lombardoveneto; non è un caso che l’unico a parlare di macroregioni oggi è Caldoro. L’alleanza con Le Pen non è un espediente tattico per ottenere una qualche visibilità, è una convinzione profonda e radicata.

Il centro sinistra può festeggiare e deve essere per più ragioni grato a Matteo Salvini che:

1) restituisce il federalismo al suo contesto democratico progressista

2) riporta in piazza la destra cattolica e fascista in modo ordinato e non eversivo, cooptando, almeno per ora, anche le frange più estremiste

3) ridà senso alla vittoria di Pisapia. Il centro sinistra riesce a definirsi grazie all’opposizione a questo centro destra

4) crea un nuovo avversario simbolo (in politica serve sempre) in sostituzione dell’ormai sbiadito Berlusconi

5) apre contraddizioni difficilmente sanabili nel centro destra, tant’è che gli slogan più insultanti erano per Alfano

6) ipoteca il mantenimento di Palazzo Marino al centrosinistra, perché l’autocandidatura dello stesso Salvini rende elettoralmente favorito qualsiasi candidato renziano foss’anche il mio gatto

E cancella definitivamente una delle più fantastiche stupidaggini che ci allietano dal 1995 quando fu proclamato: “la Lega è una nostra costola, è stato il sintomo più evidente e robusto della crisi del nostro sistema politico e si esprime attraverso un anti-statalismo democratico e anche antifascista che non ha nulla a vedere con un blocco organico di destra”.

Oggi possiamo tranquillamente affermare che la Lega è fascista. Con una non trascurabile differenza: al posto di Mussolini c’è Salvini.

 

Walter Marossi

 



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