28 novembre 2012

ANCHE SUI NAVIGLI CI SONO I TALEBANI


Milano, 28 novembre. La presentazione di un libro ieri e un convegno oggi: i Talebani dei navigli non si danno pace. Soprattutto quelli puri e duri che in cima a tutto mettono la riapertura dei Navigli, quelli della cosiddetta “fossa interna”, quelli che in sostanza circondavano tutto il vecchio centro storico, interrati con un’operazione completata negli anni 1968-1969. Speravo che a convincere questi talebani fosse bastato un articolo di Armando Stella pubblicato sul Corriere della Sera il 19 luglio 2008, quando si ricominciò a parlare della riapertura: una lunga intervista al geometra che si era occupato dell’interramento e che aveva poi seguito le vicende successive relative alle interferenze tra i navigli interrati e le sottostrutture, tra le quali la MM. La risposta lapidaria alla domanda: vale la pena riaprire la fossa? fu “troppe trappole nascoste …”. È vero, a cominciare dalle infinite sottostrutture posate successivamente: dalla rete gas al telefono alla fognatura.

Quel saggio parere fu presto dimenticato e da allora il tema è stato dibattuto più di ogni altro tra quelli, ben più importanti, che riguardano la nostra città, il suo aspetto, la sua vivibilità. Ho da sempre condiviso con molti amici l’attenzione e la preoccupazione sul destino dei Navigli ma oggi, come non mai, non vorrei più sentir parlare della riapertura della fossa. Le ragioni son tante e cercherò di elencare quelle che ritengo le più importanti.

La prima riguarda l’incapacità del nostro Paese di realizzare opere pubbliche di importo rilevante accompagnate da una grande complessità tecnica. Eppure ci avventuriamo come per Expo2015 e i primi problemi già emergono. Abbiamo disimparato a progettare senza dover ricorrere a infinite varianti e aggiustamenti, la nostra legislazione in materia di tutela della proprietà privata versus interesse pubblico è squilibrata e lacunosa (dunque infiniti ricorsi), nessun lavoro è mai stato completato nei tempi previsti (una sola recente eccezione: la terza corsia dell’autostrada dei Laghi verso Como) e dunque i disagi alla cittadinanza sono intollerabili e, per finire, nessun lavoro pubblico è stato completato senza che il preventivo iniziale fosse ampiamente superato, con il rischio di non finire le opere.

Dunque siamo arrivati a parlare di costi. So di ripetermi. Vorrei che chi parla di opere pubbliche, chiunque sia, si prenda la briga di fare un modesto ragionamento: consideri da un lato l’opera pubblica con il suo costo e dall’altra il bacino territoriale interessato e i suoi abitanti. Prenda poi di quel medesimo bacino tutte le opere pubbliche delle quali vi sia necessità, la loro urgenza, e il beneficio sociale che deriverebbe dalla loro realizzazione. Insomma, costruisca una scala di priorità, indispensabile, dando per postulato che non solo non vi sono soldi per far tutto ma che spesso mancano anche quelli per le opere “indifferibili”.

A che punto di questa scala troveremmo la riapertura della fossa interna? Prima della manutenzione delle scuole? Prima dell’edilizia residenziale per i ceti deboli, prima degli spazi collettivi per i giovani e per restare nell’ambito del paesaggio urbano prima della sistemazione di una ventina di piazze che gridano vendetta al cielo per il loro aspetto e quello del relativo verde? Prima di aver dato un (costoso) riassetto al manufatto città (marciapiedi, cartelli stradali, pali e dintorni e così via)?

Ma torniamo ai Navigli e in particolare alla Darsena. Vogliamo sistemarla una volta per tutte? E del tratto urbano dei Navigli che vogliamo fare? Dalla legge Galasso in poi si sono susseguiti leggi e progetti di legge, sono nati conflitti di competenza tra Regione e Comune come nel ’94, su chi avesse l’autorità per disciplinare l’utilizzo delle aree limitrofe, sono nate associazioni dei Navigli più o meno benemerite e più o meno attente ai beni collettivi. Bene. L’aspetto dei Navigli e delle aree limitrofe è solo peggiorato, basti pensare alle aree ex Richard Ginori o alle trasformazioni di altre aree industriali divenute loft o trovando attività artigianali che nulla hanno a che vedere con l’utilizzo intelligente di un’area che avrebbe potuto avere un contenuto paesistico importante.

Allora dobbiamo lasciar perdere? No, possiamo sì continuare a buttare cuore e cervello di là dell’ostacolo ma non così lontano da renderli irraggiungibili. Progetti dunque di minor respiro ma praticabili, anche per i Navigli.

Luca Beltrami Gadola

P.S. Ho cercato di fare anche io quattro conti: un chilometro di nuovo canale navigabile con una fascia verde di 20 metri per parte costerebbe circa quattrocentomila euro l’anno di sola manutenzione. A futura memoria di chi farà bilanci comunali di previsione.



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