7 novembre 2012

Scrivono vari 07.11.2012


Scrive Ada Lucia De Cesaris a Francesco Spadaro – Caro Spadaro, il Vigorelli è un patrimonio della città che va recuperato e ridato all’uso pieno, per il ciclismo, per lo sport, per gli sport! La vecchia pista non è più utilizzabile, credo tuttavia sia importante riuscire a conservarne la memoria. La vecchia giunta aveva tentato la strada del project financing e non ha concluso nulla. Questa giunta ha lavorato per cercare di rendere sicuro il risultato, garantendo un finanziamento certo (così come previsto nell’ambito dell’intervento Citylife), ha voluto inoltre predisporre un bando accessibile a tutti professionisti, giovani e meno giovani, famosi e meno famosi.

La normativa europea e nazionale richiede il rispetto di regole precise (come i requisiti e il momento in cui bisogna dimostrarli), dalle quali non possiamo sottrarci (anche perchè a garanzia di trasparenza e legalità). Tuttavia se legge con attenzione, questo bando consente ai professionisti di mettersi insieme e insieme raggiungere i requisiti (proprio quello che lei chiama avvalimento!), richiede la partecipazione nei gruppi di giovani professionisti, applica i limiti di fatturato nella percentuale più bassa ammissibile. Non si tratta di fuffa, ma di una competizione trasparente, aperta a tutti.

Privo di qualsiasi fondamento è il riferimento al limite dei rendering … c’è spazio per i disegni e per tutte quelle modalità che oggi è possibile utilizzare. Non confonda i bandi pubblici con i concorsi privati inseriti nel PGT.

Proprio oggi un giovane gruppo di giovani architetti mi ha scritto, ringraziandoci per questa occasione. Non mi hanno rilevato i nomi (per ovvie ragioni), ma mi hanno detto che hanno una età media di 35 anni. Infine, si sono già accreditati più di 600 professionisti… un primo risultato incoraggiante.

 

Scrive Emanuela Borrelli a LBG – Come mai non è inserito anche il nome di Laura Puppato? Non è importante nel suo caso la “differenza dell’entusiasmo”?

 

Scrive Vitaliano Serra a Cesare Prevedini – Non conosco Cesare Prevedini, ma ho idea che viva in una realtà molto diversa dalla mia. L’articolo pubblicato su “ArcipelagoMilano” che intendo commentare, seppure, molto brevemente per non tediare la redazione e lo stesso Prevedini, fa un po’ elegia di Davide Serra come uno (l’ennesimo) self-made man, giunto alla ricchezza professionale e di conseguenza economica “per merito”, perché “é andato all’estero e si é costruito (da solo) la carriera, tanto da spiattellare in faccia ai grandi della casta finanziaria italiana (perfino Bernheim magnifico presidente delle Generali) le loro colpe e le loro incapacità. Che uomo! Che cervello! Che merito! … Che merito? Ma come si fa senza produrre nulla di concreto (nell’economia reale intendo) giungere ai suoi livelli? Solo per merito? Mi permetta Prevedini, ma non ci credo.

Certamente si può fare (vi sono molti esempi a tale proposito) ma solo con tanto pelo sullo stomaco, una buona dose di faccia tosta e di scaltrezza nel navigare nell’acqua melmosa degli interessi economico-finanziari molto potenti come un pesce. Una buona dose di fortuna e senza dubbio di intelligenza, solo che quest’ultima viene messa sempre al servizio di se stessi, se no altrimenti a 37 anni non si può raggiungere quelle mete solo per merito personale. La storia di Berlusconi (ma né é solo un esempio) é lì a dimostrare se ce ne fosse bisogno che non esistono self-made men, ma piuttosto cunning-man. Il Serra (ma guarda i casi della vita un mio omonimo self-made man … ed io che pensavo di essere furbo e meritevole per essermi diplomato e laureato alle serali, lavorando di giorno, allevando dei figli, accollandomi un mutuo trentennale per la casa, l’unica, usando auto usate, e perfino facendo volontariato nel sociale e politica “aggratis” per 40 anni!). Ma che cervelli questi self-made man!

Una domanda diretta a Prevedini, ma in tutto quel “merito” un po’ paraculo ammetterà, che posto ha mai trovato e trova ora il rapporto con gli altri, quei molti altri che vivono a 500, 600, max 1500 € al mese? Quando va bene e se il lavoro c’é? Sicuro Prevedini che un sistema sociale sano e giusto possa tenersi in piedi solo se si forma sulle fragili basi (fragili perché oggi stanno qui se non conviene se ne vanno da un’altra parte dove trovare altri (non meritevoli?) a cui far credere che loro sono intelligentissimi e meritevolissimi) dei self-made man? Un dubbio mi sovviene. Ma come si fa diventare “meritevoli” e naturalmente “intelligentissimi”? Mi piacerebbe vedere i gomiti del mio omonimo … e anche gli occhi di quelli che sono capitati dalle sue parti. Ma si sa é dalla notte dei tempi che va avanti così, c’est la vie.

 

Scrive Marco Romano – Nei comuni che nascono intorno al Mille lungo l’asse lotaringico – dall’Italia centrosettentrionale alla valle del Reno alle Fiandre – e in seguito all’Inghilterra e alla Francia ma non nella Polonia e non ancora nella penisola iberica, la condizione individuale della cittadinanza è il possesso della casa, ma questo possesso non coincide necessariamente con la proprietà, e possiamo essere cittadini anche se siamo in affitto, in comodato, in enfiteusi, in leasing e quant’altro, e nei diversi paesi sembra prevalere una o l’altra di queste forme giuridiche.

In Italia è Leon Battista Alberti a sottolineare esplicitamente come costruirsi una casa sia il massimo della felicità e come la proprietà della casa sia una garanzia per la continuità della famiglia anche nel caso di difficoltà finanziarie, mentre Filarete sottolinea come costruirsi una casa sia il desiderio più naturale del mondo e anche il più benefico per la città, ché dopo averla costruita nella città c’è sempre il medesimo ammontare di denaro ma in più c’è la casa.

La smania di murare, testimonia Carlo Cattaneo, quattro secoli dopo sarà più viva che mai: “Il gusto del fabbricare non è così vulgare e commune come quello delle vesti: ma dove s’apprende lascia più profonde ferite alla privata fortuna. In Italia dove da tremila anni è distintivo principalissimo della nazione, si tiene così funesto alla ricchezza delle famiglie che si chiama per facezia il mal della pietra“. E nei primi decenni dell’Ottocento Stendhal fu incuriosito dalla attesa che circondava il cadere delle palizzate nei cantieri dei nuovi palazzi signorili in Italia, dove “l’avere un bel palazzo è segno di prestigio assai più di un ricco patrimonio”.

La forma istituzionale assunta dal possesso della casa è in ogni paese europeo diversa, e secondo me dipende dalle loro specifiche tradizioni. La nostra è, come si vede, una tradizione secolare e notissima, non è una propensione all’investimento immobiliare nata per caso, e forse per questo la nostra Costituzione dichiara esplicitamente che la Repubblica favorisce la proprietà della casa, e una legge che abbia l’obiettivo di renderla più difficile è forse di dubbia costituzionalità.

 

Scrive Giovanni Lanzone ad ArcipelagoMilano – Non so se vi è capitato di scendere a Loreto e prendere la metropolitana in direzione Duomo. Vorrei fare, sulla nuova stazione di Piazzale Loreto una domanda al presidente della Metropolitana Milanese e all’assessore ai Trasporti e al Sindaco, che immagino lo controllino. Capisco che siano decisioni prese dalla giunta Moratti o magari concorsi pubblici: ma vi prego, fermiamo il lento degrado della Linea Rossa. La domanda di fondo è perchè ci dobbiamo rassegnare alla distruzione di uno degli elementi più forti dell’identità cittadina, la prima linea metropolitana, la più bella tra tutte, che Franco Albini e Franca Helg progettarono nel 1962 e per cui l’indimenticabile Bob Noorda vinse il compasso d’oro due anni dopo con il suo progetto di segnaletica. Passi per le scivolose marmette bianche in Cadorna, fanno veramente schifo ma avranno detto che la gomma nera a bolle oggi costa troppo e non la produce più nessuno. Ma come lo giustifichiamo il lamierino coreano, grigio su grigio orizzontale, della stazione Loreto. Come direbbe Francesco de Gregori: un incubo ben riuscito! Quale architetto può aver perpetrato questo obbrobrio, magari sentendosi Pei nella piramide del Louvre, è proprio vero che alla dissennata paranoia degli architetti non c’è rimedio. Non è vero che è sempre colpa delle imprese ogni tanto c’entra anche la scadente cultura compositiva degli architetti. Chi volesse vedere la differenza ha un facile modo, scenda una fermata dopo o prima, e senza fretta guardi l’intatta stazione di piazzale Lima: i colori a chiazze delle marmette, il rosso arancio dei corrimani, le scritte bianche e le bolle di gomma nera sul pavimento. Una meraviglia! La rossa è una unità stilistica che corre sotto terra, una forma di identità collettiva che attraversa la città. Non c’è come vederne il degrado che faccia sentire la mancanza di quel segno forte e gentile che tutte le mattine ci accompagna al lavoro o a scuola. Quando è grande l’architettura fa bene all’anima quando è piccola contribuisce al suo degrado. Ma soprattutto cos’altro ci aspetta e che cosa dobbiamo fare per fermare gli untori!



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