17 aprile 2012

BOERI, DR. JEKYLL E MR. HYDE


Boeri fu scelto come candidato a sindaco dal Pd, che lo aveva corteggiato a lungo, con molta ritrosia da parte sua; considerato vincente contro Pisapia in primarie date per scontate, perse anche grazie a Onida associati. Peccato si disse così non vinceremo mai. Invece il destino cinico e baro di saragattiana memoria fa vincere Pisapia e il nostro da innocente vittima del gioco interno, da risorsa sprecata in un’inutile primaria egemonizzata dai sinistri, diventa il principale responsabile della sostanziale sconfitta del Pd, che torna al governo della città come vent’anni prima grazie a un papa straniero.

Pisapia per di più, fin da subito parla di sinistra arancione, di popolo arancione, di un nuovo inizio, imbarcando come in una specie di arca tutti i soggetti del sinistra centro a scapito fondamentalmente del Pd e in particolare della sua nomenclatura, cui non viene dato neppure lo strapuntino del vicesindaco, ruolo che non fu negato nemmeno a un decorato qualsiasi. Anche questo insuccesso viene imputato a Boeri. In poche settimane quel Boeri che secondo Repubblica aveva trascina il Pd a un grande risultato diventa un dissidente.

Elaborato il lutto (forse), il nostro partendo da una constatazione su Penati: “La vicenda giudiziaria che coinvolge Filippo Penati sta mettendo in luce comportamenti illeciti e comunque inaccettabili, radicati in una parte della politica milanese e lombarda” chiede nell’agosto di “Rigenerare il Pd” ottenendo sostegno solo dal collega di giunta Majorino.

Qualche mese dopo in una lettera agli elettori allarga l’argomentazione e spara a palle incatenate: “perchè oggi c’è una distanza siderale tra il partito che vogliamo e quello che esiste… È triste dircelo, ma nonostante questo successo, il Partito che esiste oggi a Milano sembra un piccolo mondo chiuso, parallelo e indifferente a quanto succede nel governo della città. Il partito che di fronte alle vicende giudiziarie di un suo dirigente si produce in un complicato riassetto della sua segreteria invece che affrontare con coraggio un serio approfondimento politico sul rapporto tra interessi, governo locale e trasformazioni del territorio; il partito che oggi discute e si divide parlando di riorganizzazione per componenti, di nomine equilibrate sulle correnti, è lontano mille miglia dalla tensione propulsiva della nostra campagna elettorale.”

Qualcuno comincia a pensare che sarebbe meglio levarselo dai piedi e lui tetragono risponde “Il Pd è un progetto in cui ho investito molto fin dall’inizio, dal 2007 e oggi sono assolutamente convinto a non andarmene, anche se magari qualcuno lo spera, perchè questo per me è il luogo per fare politica in Italia” ed entra a piedi uniti anche nelle vicende interne più modeste come la rielezione della segreteria provinciale: “Prima discutere di progetti, concretamente, poi subito ridefinire di conseguenza la segreteria mentre voi pochi giorni fa l’avete rifatta con logiche a me lontane e senza coinvolgere i circoli”. In pratica sembra candidarsi a leader di una rifondazione e per alcuni anche a presidente della regione.

A pochi mesi da quando era “il miglior interprete del progetto di riscossa civica di cui Milano ha bisogno” nel gruppo dirigente del Pd non lo sopporta più nessuno, e quando sull’Expo cerca di imporre a Pisapia una correzione di rotta, viene scaricato platealmente: “noi stiamo con Pisapia senza se e senza ma” dichiara il semplicemente tranchant Laforgia.

Nella battaglia commette un errore imperdonabile per chi vuole rigenerare un partito che ha vinto le elezioni e condizionare il sindaco: in una delle interviste più in ginocchio della storia cittadina chiede scusa e si dice disposto a tutele e periodi di prova pur di restare in giunta, manco fosse un apprendista cameriere a ore e si stesse parlando del servizio ai tavoli non dell’Expo. Il perché di una così repentina ritirata è misterioso. Il suo appeal tra chi condivideva le esigenze di rigenerazione crolla, né meglio gli va in giunta: a cosa si riduca il suo peso reale lo si evince di li a poco nella vicenda Triennale; per qualche collega assessore, lo sport preferito sembra quello di prenderlo a ceffoni politici: gli hanno preso le misure sanno che can che abbaia non morde.

Il nostro però ha resistenza, lascia passare un po’ di tempo e riparte su altri temi sensibili così parlando del Pd e del suo capogruppo: “sulle coppie di fatto banalità e pregiudizi” e sull’antimafia: “Abusando una volta di più del suo ruolo. Una posizione così sbagliata e fuori tono da chiedere con urgenza una presa di posizione ufficiale della segreteria provinciale del Pd.” concludendo: “il Pd ha bisogno di una rigenerazione”. Gli risponde con sufficienza la Rozza: “A Boeri non rispondo più. Dica quello che vuole. Non posso mica rispondere tutte le volte a chi si alza la mattina e spara su di me”, il tono è quello che si usa con i molestatori non con gli avversari politici.

Ma a far definitivamente uscire dai gangheri Cornelli and Co. non è la rinnovata richiesta di dimissioni di Penati per non farsi dare lezioni dal Trota e dalla Lega ma la motivazione. Boeri ribadisce infatti che non è questione di condanne assoluzioni o prescrizioni, a questa ci pensa la giustizia, ma di etica e di morale, con l’implicita conseguenza che non si tratta di una vicenda personale ma collettiva perché Penati “era un elemento di grandissimo peso nel partito” ergo anche i suoi amici vanno dimessi e il partito va bonificato. In pratica si avvale del ben noto “non potevano non sapere”.

Apriti cielo il commento pubblico più gentile della nomenclatura è “tafazziano” qualcuno più dotto ricorda il Trotsky di “La loro morale e la nostra”. La sua risposta a tono: “É triste che qualcuno pensi che parlare in pubblico di questi problemi sia debolezza. La reazione dei dirigenti democratici? Nervose e non razionali”, in pratica gli da degli omertosi. Non ricordo a mia memoria un assessore così distonico con il suo sindaco se non ai tempi di Aniasi e De Carolis (ere geologiche fa), un capodelegazione di giunta così in rotta con il capogruppo e i colleghi assessori, mentre ricordo molti dirigenti di partiti che volevano rifondare e rigenerare il proprio, a qualcuno è pure riuscito.

Il Boeri politico è un Dr. Jekyll e Mr. Hyde: una volta rifondatore temerario l’altra zerbino in ginocchio pur di restare in giunta. Difficile capire se possa essere un leader politico o anche solo l’innesco di un processo. Mi sembra però che un modo per scoprirlo ci sia. Boeri scriva un progetto per il partito e per la città, si candidi a guidarlo, chieda un congresso, (lo statuto regionale da ampia autonomia alla federazione metropolitana e l’assemblea che ha ratificato l’elezione dell’attuale segretario risale al dicembre 2009) se lo ottiene partecipi alla competizione, se no lasci.

 

Walter Marossi

 



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