13 settembre 2011

musica


DIVAGAZIONI

L’affermarsi, con un’assordante potenza mediatica, di questa sorta di ciclone chiamato Mi.To. ha avuto un effetto collaterale non da poco, quello di ritardare l’inizio di tutte le altre stagioni. Con la meritevole eccezione dell’Orchestra Verdi – che oltre ad aver dato un importante contributo al Festival di Milano e Torino inizia in questa settimana la sua stagione con un impegnativo programma – tutte le altre istituzioni entreranno in attività solo nel mese di ottobre. Ne approfittiamo così per divagare con alcune riflessioni maturate dopo aver partecipato a quella prova generale del concerto di Abbado e Radu Lupu a Lucerna di cui vi abbiamo dato conto la settimana scorsa.

Siamo certi che l’attuale “format” del concerto di musica sinfonica o da camera corrisponda alle aspettative ed ottenga il massimo godimento da parte del suo pubblico? E’ giusto che il concerto segua rigide regole formali, che per esempio ci si debba attenere a un programma stabilito con mesi (anni) di anticipo senza poter accogliere sollecitazioni esterne dell’ultimo momento? O che non ci si debba mai allontanare dal testo originale, e si consideri proibita o impertinente qualsiasi improvvisazione o lettura libera e fantasiosa, magari avendola spiegata al pubblico con un breve commento? O – passando ad aspetti più banali – che si usino ancora quei superatissimi frac, anche se per fortuna qualche musicista comincia molto timidamente a trasgredire (ma guai ad abbandonare il colore nero!)?

Quando ci capita di ascoltare un “concerto in casa”, o un amico concertista che suona solo per noi, o lo ascoltiamo studiare o provare un pezzo in totale libertà, magari ripetendo più volte un passaggio particolarmente ostico, o cercare il fraseggio migliore fra diverse possibili soluzioni, non ci sentiamo dei privilegiati? Non ci emoziona partecipare così intimamente alla “lettura” della partitura, alla ricerca interpretativa, in una parola alle scelte del musicista?

Ovviamente non possiamo immaginare una totale anarchia, per cui quando andiamo a un concerto non sappiamo che cosa ascolteremo, né tantomeno possiamo rinunciare a letture rigorose e corrette che si attengano il più possibile al testo e alle più consolidate prassi interpretative.

Forse, però, si potrebbero aggiungere ai concerti “formali” altre tipologie di eventi musicali, non meno “classici” che, senza scimmiottare le grandi improvvisazioni di Keith Jarrett, né imitare le jazz session (che partono da tutt’altri presupposti), consentano agli interpreti di proporre ad esempio “una serata con Mozart” in cui ci trasmettano la loro idea di Mozart, piuttosto che la loro ricerca sulla sua musica, o anche solo il percorso che devono fare ogni volta che la affrontano per risolverne passi complessi o misteriosi o scioglierne apparenti incongruenze, proponendola in modi diversi e magari tra loro contraddittori.

Una sera chiedemmo ad Andrea Bacchetti – pianista di cui abbiamo più volte riferito e che mostra una certa insofferenza nei confronti del “rito” del concerto – come mai si era preso tante libertà nell’esecuzione delle bachiane Variazioni Goldberg, aggiungendovi una considerevole dose d’inusuali abbellimenti; felice che qualcuno se ne fosse accorto, ci rispose che non si può suonare sempre la stessa musica, che bisogna talvolta rinnovarla, che Bach sarebbe stato assolutamente d’accordo visto che lui stesso la suonava di volta in volta su diversi strumenti e con tempi diversi, e che era prassi, allora, abbellire liberamente il testo scritto, usarlo quasi come un canovaccio. Un’altra volta Bacchetti eseguì una serie di pezzi, in parte di autori diversi, uno dopo l’altro senza alcuna interruzione e dunque senza la cesura dell’applauso. Fu una cosa curiosa, non totalmente apprezzata da un pubblico abituato all’immutabile “rito” del concerto classico, eppure obbligò tutti a riflettere su certe contiguità musicali e su certi procedimenti imitativi, propri della musica, che non sono sempre palesi.

Ci sembra dunque arrivato il momento di sperimentare nuove forme di concerto, più libere, fantasiose, personali, forme più dirette fra artisti e pubblico; abbiamo avuto molte avvisaglie di questa tendenza (ricordate gli ultimi concerti di Friedrich Gulda?), talvolta magnifiche, altre volte anche irritanti (ma basterebbe chiamarli concerti irrituali, e annunciarli come tali, perché il pubblico sia preparato). L’importante è introdurre e sperimentare – anche nei luoghi più carismatici – nuovi modi di rapportarci con i grandi capolavori musicali e soprattutto mettere in una nuova relazione, più approfondita e meno scontata, i testi, l’interpretazione, e la fruizione da parte del pubblico. Ovviamente senza cadere nella diversa e noiosa dimensione della lezione, ma creando l’atmosfera curiosa e gioiosa di chi vuole andare un po’ più in là del semplice ascolto (di ciò, peraltro, che quasi sempre già conosce) per esplorare alternative possibili e sorprendenti.

 

Musica per una settimana

Questa settimana è ancora presa dal Festival Mi.To. di cui vi ripetiamo il link

 http://www.mitosettembremusica.it/programma/calendario/2011-09-05.html

Ma è anche l’inizio della stagione dell’Auditorium dove il 15, il 16 e il 18 settembre l’Orchestra Verdi, diretta da Xian Zhang, eseguirà dapprima il Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore opera 73 per pianoforte e orchestra (il celebre Imperatore) di Beethoven con il pianista Lars Vogt, e poi la Sinfonia Fantastica opera 14 di Berlioz.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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