26 aprile 2011

25 APRILE: PERCHÉ PERDONARE?


L’ANPI milanese, che credo la vera organizzatrice delle manifestazioni milanesi del 25 aprile, non poteva fare a me cosa più gradita nell’escludere i discorsi dei rappre-sentanti dei partiti o delle forze politiche in quest’occasione: in maniera diversa erano andate le cose in passato. Per una volta, contravvengo a una regola che da qualche tempo mi sono dato – escludere sempre i toni autobiografici – e me ne scuso con i lettori.

Dal 1945, finita la guerra, che mi lasciò orfano di un padre medaglia d’oro della Resistenza, ho partecipato a tutte le celebrazio-ni del 25 aprile e, raggiunta l’età della ragione ho capito sempre di più il senso dei discorsi che ascoltavo in quelle manifestazioni. Crescendo mi sono domandato perché, sempre di più col passare degli anni, molti oratori parlassero di riconciliare il Paese e “perdonare”. Mi domandavo, e mi domando ancora, perdonare chi e perché?

Premetto che sono cattolico di battesimo ma assai poco di dottrina e forse le domande che mi pongo, a chi cattolico lo è davvero, appariranno ingenue, certo a un laico no. Per me, perché laico, il perdono esiste poco ma quello che invece esiste profondamente è il desiderio di pace e dunque la totale mancanza di spirito vendicativo. Dunque, nei confronti di chi ha ucciso, torturato, incarcerato ingiustamente non chiedo vendetta ma solo giustizia per le vittime e, dove e quando è possibile, risarcimento anche morale. Dai molti palchi di queste celebrazioni ho sentito invece spesso, troppo spesso, parlare di perdono come condizione di “pacificazione” del Paese.

Dunque come prima cosa, oggi mi domando se possa esistere il perdono nei confronti di persone per la stragrande maggioranza morte, come lo sono ormai quasi tutte le loro vittime. Il perdono, come la vendetta sono spiriti che albergano sostanzialmente nel cuore dei vivi, speriamo una minoranza, che talvolta li tramandano ai loro eredi e, così com’è fatto l’uomo, odio e vendetta sono eredità che valicano le generazioni e che, anche se vi potesse essere, non sono attenuati da alcun “perdono”. Odio e vendetta, dicono gli storici, raramente oltrepassano le tre generazioni a meno che non siano odii secolari ma perché siano secolari debbono essere rinfocolati.

Torniamo dunque al 25 aprile “festa” della Liberazione. Uomini del centro destra parlano di strumentalizzazione, arte della quale sono maestri, utilizzando tute le paure possibili ma qualcuno torna a parlare di pacificazione e perdono. Perdono mai oggi, se fosse possibile, nemmeno per i morti ma soprattutto se quei morti sono invocati non tanto per spirito di cristiana coscienza, quanto per ottenere una sorta di legittimazione morale alle loro scelleratezze, verso le quali sembra qualcuno voglia riprendere il cammino.

La sinistra non pensi di essere vaccinata contro questi messaggi unanimistici, sono solo trappole: fino a ieri non vi era alcun bisogno di “pacificare” un Paese che nel lento oblio delle atrocità, pacifico stava diventando. Celebrava le sue feste senza pretendere pentimenti clamorosi, se qualcuno voleva sdoganarsi lo facesse pure, meglio se nei fatti e senza clamore.

Poi è arrivato Berlusconi col suo berlusconismo: si è ricominciato a parlare del passato inventando un Paese che non c’è, inventando un anticomunismo da operetta, ma soprattutto “inculcando” negli italiani, ridiventati bambini, la paura di dormire al buio, dove i pensieri si fanno più intensi e le paure più stringenti. E dunque riecco i peggiori fantasmi: il razzismo, la xenofobia, la paura di tutto il diverso. Questo è quello che dobbiamo avere a titolo di “pacificazione”? Per pacificare si chiede di parlare di perdono? Perdonare vuol dire legittimare le idee di qualcuno. No grazie.

La folla di giovani in piazza del Duomo il 25 aprile non si lasci trascinare: il perdono, quel perdono, non è la premessa per la pace. Anzi.

LBG



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