17 novembre 2019
PROGETTO “PORTA DI LUCE” A CITYLIFE
Perché non voglio far la parte del pubblico ebete ma festante dei format televisivi
17 novembre 2019
Perché non voglio far la parte del pubblico ebete ma festante dei format televisivi
La carezzevole superficialità delle immagini del progetto di “Porta di Luce” che dovrebbe completare l’edificazione prevista sull’area di CityLife, in alternativa all’ultima torre che finora era stata annunciata, ha trovato grande risalto sulle pagine delle cronache milanesi di questi giorni.
Questo edificio arcuato sia nello sviluppo in pianta sia in quello ad arco parabolico rovescio della copertura, che tanto ha colpito l’immaginazione di media e pubblico, è tuttavia anche la conferma dell’azione di “distrazione di massa” dai dati strutturali delle trasformazioni urbane in corso, così come sempre di più viene chiamata e si rende disponibile l’attività progettuale dei grandi studi internazionali con rendering e plastici abilmente infiorati da ambientazioni di frequentazioni “friendly”, per renderne più gradevolmente accettabile l’indigesta sostanza.
È ciò che sta contemporaneamente accadendo anche con le fantasmagoriche ambientazioni di vecchi e nuovi stadi con torri abilmente sfumate sugli sfondi e nel verde delle proposte presentate per l’area di San Siro. “Te piace o’ presepio? Te piace, eh? Te piace?”, direbbe insistentemente il protagonista eduardiano di Natale in casa Cupiello.
Insomma, sarebbe come pensare di poter scegliere il compagno o la compagna di una vita in base agli esiti di un concorso di bellezza o, oggi, di un format televisivo (e non dubito che oggi ci sia chi la ritenga una forma di egalitarismo diffuso di ciò che un tempo era prerogativa di danarosi cumenda!)
Ciò distrae dal considerare il milione di metri cubi complessivo che continuerà a gravare sull’area, con l’indice edificatorio più alto mai concesso in città (1,15 mq/mq contro: 1,00 mq/mq a Porta Nuova; 0,65 mq/mq su ex scali ferroviari – ma con punte di concentrazione vicine a 1,00 mq/mq a ex scalo Farini e Romana, ciò che ha indotto i cittadini dei quartieri attigui a presentare ricorso al TAR -; 0,35 mq/mq medio nel nuovo PGT, ma senza indirizzi pubblici su dove, quanto e come si possa procedere a scambiarlo e concentrarlo in trattative tra privati).
Nel riuso del recinto dell’ex Fiera sarebbe stato necessario che il Comune fornisse prescrizioni cogenti sul ripristino dell’impianto insediativo milanese, principalmente orientato in senso Nord-Ovest/Sud Est e Nord-Est/Sud-Ovest, ereditato dal castrum romano (ingresso del cardo dalla via Emilia e uscita verso il Sempione, e decumano ad esso ortogonale).
Il problema urbanistico del vecchio quartiere Fiera era noto da tempo alla miglior cultura urbanistica milanese: la Fiera di Milano si insediò nel 1922 sull’area dell’ex Piazza d’Armi, la cui giacitura aveva un orientamento difforme dai tessuti edilizi circostanti perché il Piano Beruto del 1899 la disegnò secondo un’astratta simmetria con la giacitura del Cimitero Monumentale rispetto all’asse di corso Sempione.
Essa ha quindi storicamente rappresentato un problema urbanistico irrisolto per la direttrice nord-ovest della città, provocando inconvenienti via via più gravi, sia dal punto di vista viabilistico sia da quello di un corretto assetto insediativo urbano. Nel tempo numerosi studi e progetti cercarono di ovviare a tali inconvenienti proponendo riassetti urbanistici che ricomponevano l’andamento di quel brano di città rispetto al tessuto edilizio circostante: così nel 1937-38 con il Progetto di Concorso per la Nuova Fiera al Lampugnano di Bottoni, Lingeri, Mucchi, Terragni, nel 1938 con il Progetto Milano Verde degli architetti Albini, Belgiojoso, Gardella, Mucchi, Peressutti, Putelli e Rogers, nel 1945 con il Piano AR, e tra il 1946 e il 1951 con i progetti di De Finetti di ricostruzione post-bellica, su incarico del Consiglio di Amministrazione della Fiera. Tutte proposte che non trovarono attuazione per la continua persistenza dell’attività fieristica sull’area del vecchio recinto.
La dismissione di quell’attività dal 2005 e la possibilità di un suo diverso utilizzo edificatorio avrebbero dovuto e potuto essere anche l’occasione per porre rimedio a questi persistenti inconvenienti, con un impianto improntato alla direttrice parallela a corso Sempione e a quella ex Fiera-Piazza Gerusalemme-Via Cenisio, e in questo il progetto proposto a Fondazione Fiera da Renzo Piano per Pirelli RE (ora Prelios) faceva un po’ meglio di ogni altro, con una piastra terziaria molto compatta posta lungo la diagonale Sud-Ovest/Nord-Est (la tipologia era simile a quella del suo progetto per i nuovi uffici de Il Sole 24 Ore in Viale Monte Rosa), un’unica torre residenziale di 180 metri di altezza (ma facilmente suddivisibile in due da 90 metri, o 4 da 45 metri) e il verde pubblico compatto nella metà sud-est del quadrato di 500 metri di lato dell’ex recinto fieristico/ex Piazza d’Armi.
Il progetto CityLife era invece privo di riconoscibili orientamenti urbani, con edifici singoli bizzarramente griffati (Isozaki, Hadid, Libeskind), ma disposti casualmente, con le tre torri ad uffici da 200 metri di altezza che in inverno fanno “barriera” per l’intera giornata solare all’insolazione degli edifici dei quartieri attigui preesistenti a Nord-Est, e il verde pubblico frazionato in strisce sottili interposte tra gli edifici residenziali per evitare che si schiacciassero uno sull’altro.
Purtroppo la Giunta di allora (Albertini/Lupi-CL) aveva in vista solo l’obiettivo di garantire a Fondazione Fiera (presidente Roth-CL, nominato dal presidente della Regione Formigoni-CL) i guadagni necessari a tappare il deficit di 250 milioni di euro maturatosi nella costruzione di Nuova Fiera a Rho-Pero, anche per le egolatriche follie progettuali consentite a Fuksas nelle smisurate ed antifunzionali coperture vetrate, che si ripeteranno nel Centro Congressi Nuvola all’EUR di Roma.
Infatti, quando nel 1994-1998 ero assessore all’urbanistica a Rho, venne a presentarmi il layout dell’impianto originale della Nuova Fiera il capo Ufficio Tecnico di Fiera, Ingegner Vettese: uno schema semplice ed efficace, che verrà utilmente riprodotto a costi contenuti per la Nuova Fiera di Roma, sorta in direzione di Fiumicino. Ma per tornare alla questione del riuso del vecchio recinto urbano, oltre alla strabordante incongruenza dell’indice edificatorio concessole (sarebbe occorso il 146 % dell’area del vecchio recinto per realizzare anche solo le superfici pubbliche previste nel PIL (Piano Integrato Locale). E gli edifici privati dove li avrebbero fatti? Appesi in cielo? Infatti si consentì di indennizzare il Comune a 300 €/mq per la gran parte delle aree pubbliche non realizzabili, lasciando invece edificabili aree che vennero pagate da CityLife a Fondazione Fiera 2.000 €/mq!
Il Comune lasciò quindi che Fondazione Fiera fosse del tutto libera di scegliere il progetto meno adatto alla città, quello di Citylife, orfano di qualunque orientamento urbano complessivo, per un misero 10% in più sul doppio della base d’asta (523 milioni di euro contro 480, rispetto ai 250 di base sufficienti a ripianare il deficit). Abbiamo cioè rinunciato ad affrontare la risoluzione dei problemi di lungo periodo dell’assetto urbano milanese per un pugno di spiccioli superflui nelle casse di Fondazione Fiera!
Il ricorso al TAR dei cittadini contro questo scempio venne ritenuto non infondato, ma inammissibile perché non portatori di “interesse legittimo” a sollevare tali questioni e vennero condannati a risarcire 25.000€ di spese legali alle controparti. CityLife –bontà sua – non li volle esigere, ma i funzionari di Comune e Regione furono inflessibili nel pretenderne il pagamento, sotto il rischio di corresponsabilità contabile. A che giudici potrebbero mai rivolgersi ora i cittadini sempre più vilipesi?
A ciò si aggiunge ora la notizia che il Comune ha indetto per dicembre l’asta per vendere ad uso privato l’ex Palazzetto dello Sport, che aveva ottenuto da CityLife come area ed opera pubblica a scomputo di standard e oneri, aumentando ulteriormente il carico insediativo privato dell’intervento e diminuendo di altri 20.000 mq le superfici pubbliche, già ora inferiori ai minimi inderogabili di legge (15 mq/abitante invece dei già miseri 18, i restanti 30 mq/abitante per arrivare ai 45 inizialmente promessi, “indennizzati” al Comune a 300 €/mq per lasciare edificabili aree pagate 2.000 €/mq a Fondazione Fiera).
Il Comune rischia così di peggiorare ulteriormente la situazione anziché tentare di riequilibrarla con la riduzione di almeno 150.000 m3 di edifici, pari appunto a quelli che utilizzerà il Progetto “Porta di Luce” così enfaticamente presentato dai mezzi di comunicazione di massa.
E ora dovrei accettare di partecipare a valutare l’estetica di quest’ultima proposta come se fossi tra le osannanti folle televisive di X Factor, Tu si que vales, o delle varie De Filippi, Venier e D’Urso?
Sergio Brenna
3 commenti