11 novembre 2015
Chi ha letto i miei ultimi editoriali ha certamente capito che la candidatura di Giuseppe Sala a sindaco di Milano mi lascia molto perplesso e, per essere sinceri, sino ad ora francamente ostile. Forse la mia è un’opinione prematura perché la vicenda è talmente confusa da rendere difficile un giudizio definitivo.
La scorsa settimana è stata un diluvio di dichiarazioni e di incontri che vanno decrittati a cominciare dall’incontro tra Giuseppe Sala e i vertici del Pd locale, Alessandro Alfieri e Piero Bussolati. In quell’incontro Sala in pratica ha chiesto che cosa si volesse da lui e la risposta credo sia stata insoddisfacente perché lo stesso Pd non sa cosa vuole, a parte – banalmente – vincere le elezioni ma con che programma non si sa. Se l’hanno detto a Sala ci farebbe piacere saperlo anche noi ma non è così. Se sul tavolo c’era solo la famosa Carta dei Valori, sono sicuro che Sala si è dichiarato pronto a sottoscriverla come con altrettanta tranquillità potrebbe sottoscriverla chiunque non fosse un fiero reazionario.
Poco dopo questo incontro Sala dichiara di voler dissipare i dubbi sul suo orientamento politico – destra o sinistra – e di avere comunque come unico riferimento il Pd. E allora vale la pena di porre qualche domanda: quale Pd? Il Pd di Roma? Il Pd di Milano? E se è quello milanese quale dei molti? Il Pd dell’assessora Rozza e del senatore Mirabelli? Il Pd di Bussolati e Maran? Il Pd sotto traccia di Stefano Boeri e i suoi giovanissimi? I cuperliani? Rete Dem? E chi altro ancora?
Se invece è il Pd di Roma, Sala sarà vissuto inesorabilmente come un balivo venuto da Roma e questo credo che i milanesi lo accetteranno molto malvolentieri e dovranno rimettersi in saccoccia l’orgoglio del quale tanto si parla negli ultimi mesi ma soprattutto verrà meno la “parabola” della continuità con la Giunta uscente, lo ha detto lui stesso: “Non sono Pisapia, guardo a destra!”
L’ultimo intervento a gamba tesa di Matteo Renzi sul dopo Expo per realizzarsi ha bisogno di questo balivo semprecchè anche in questo caso i milanesi, oltre allo sgarbo istituzionale, non capiscano il disegno di occupazione romana di Milano con un affondo possibile vista l’ineffabile leggerezza (inesistenza e subordinazione) del Pd locale.
L’orgoglio milanese è più che giustificato: abbiamo avuto una Giunta di gente perbene (se è consentito utilizzare un aggettivo così borghese), sia pensando a chi ne è uscito sia a chi ne è entrato; abbiamo avuto una Giunta di gente senza scheletri nell’armadio; abbiamo avuto una giunta di gente che lavora; abbiamo avuto una Giunta né vecchia né giovane – età media 49 – il più giovane 35 e 70 il più vecchio.
Abbiamo avuto una Giunta che al suo attivo può segnare molte cose, alcune comunque ovvie, altre nuove per la città, altre meno e forse due sole gravi pecche ma ne parleremo più avanti. La vera cosa importante, cavalcando bene l’onda lunga di quel caravan serraglio che è stata Expo, è stato risvegliare la città, liberarla dalla cappa di due giunte modeste tra amministratori di condominio e snobistici distacchi dalla realtà. Oggi Milano è una città molto diversa da quella che trovò Giuliano Pisapia nel 2011 e dunque invocare semplicemente la continuità, è dire una cosa solo parzialmente interessante.
Milano, riprendendo il famoso urlo di Gene Wilde in Frankenstein junior è diventata una città nella quale finalmente molti gridano “Si può fare” e molto si è fatto e molto si potrà fare. Il “modello Milano”? Sì il modello Milano. Viene da sorridere quando pensando a Roma o al Giubileo si dice: adottiamo il modello Milano. Il modello Milano sono i milanesi e non hanno intenzione di emigrare.
Veniamo alle voci al “passivo” del bilancio di Giunta: la partecipazione e la Città Metropolitana. La partecipazione – ammesso che la si intenda come si deve – è sta una forte delusione, in parte per responsabilità della Giunta e in parte della eredità a-partecipativa di chi l’ha preceduta. La prosecuzione di iniziative intraprese da altri e arrivate alla fase di realizzazione uccide in culla la partecipazione che deve nascere al momento stesso nel quale nasce l’idea e non a metà strada. D’altro canto la partecipazione è una forma di umiltà e generosità politica che dovrebbe tarpare le ali all’arroganza: è dunque una sorta di sforzo al quale chi amministra non sembra capace nemmeno a Milano. La capacità di far partecipare è, come la pazienza, un ingrediente essenziale della buona politica.
L’altro neo è la penosa vicenda della Città Metropolitana. Pessima la legge Delrio ma anche grave la responsabilità di Giuliano Pisapia, e spiace dirlo, per non aver capito che il ruolo del sindaco della città capoluogo è strategico nel tessere i rapporti con gli altri sindaci della città metropolita se si vuole farla partire col piede giusto. Se c’è un caso nel quale i rapporti personali di stima e di partenariato tra pari sono essenziali, quello è il caso della Città Metropolitana milanese. Aver delegato ad altri è stato imperdonabile.
Esaminando dunque anche solo questi due aspetti, fondamentali però, dell’attività del futuro sindaco di Milano, ossia la partecipazione e la tessitura di rapporti politici con gli altri sindaci della Città Metropolitana, può essere Giuseppe Sala la persona giusta?
Luca Beltrami Gadola