4 novembre 2015
ISAIAH BERLIN
UN MESSAGGIO AL VENTUNESIMO SECOLO
Adelphi Editore, Milano 2015
pp. 58 – € 7,00
Un volumetto imperdibile che raccoglie due discorsi tenuti in origine da Berlin nel 1988 e nel 1994 rispettivamente in occasione del Premio Giovanni Agnelli della laurea ad honorem in giurisprudenza conferitagli dall’Università di Toronto. “La ricerca dell’ideale” e “Un messaggio al Ventunesimo secolo“, che dà il titolo al volume, possono a buon diritto essere considerati scritti testamentari del grande pensatore liberale giacché in essi Berlin ha voluto esporre i punti essenziali del suo pensiero e delle sue esperienze di ricerca così da definirli il suo “breve credo”.
Nato a Riga il 1909, Berlin seguì la famiglia a San Pietroburgo dove assistette alla Rivoluzione di Ottobre. Riparato in Inghilterra, studiò e insegnò a Oxford dove tenne per molti anni la cattedra di Teoria sociale e politica. Durante la seconda guerra mondiale il giovane professore lettone ricoprì delicate missioni per il British Diplomatic Service negli Stati Uniti e a Mosca. Tra i suoi capolavori vanno ricordati “Quattro saggi sulla libertà” del 1969, “Il legno storto dell’umanità” del 1991 e, da ultimi, “Il potere delle idee” e “La libertà e i suoi traditori“, apparsi per i tipi di Adelphi nel 2003 e nel 2005.
La densità dei due discorsi renderebbe veramente difficoltoso il riassunto di quello che appare il distillato del pensiero di Berlin. Ci limiteremo a citare dalla “Ricerca dell’ideale” le scintillanti pagine dedicate al suo incontro con Machiavelli e Giovan Battista Enrico. Per il primo Berlin ricorda che la lettura dell’opera del Segretario fiorentino istillò in lui un’idea che ebbe quasi l’effetto di uno shock: l’idea che non tutti i valori supremi perseguiti dall’umanità, ora e in passato, fossero necessariamente compatibili tra loro; con la conseguente liquidazione della convinzione, basata sulla philosophia perennis che non potesse esservi conflitto tra fini veri, tra risposte vere ai problemi centrali della vita.
Non meno stupefacente l’incontro con la “Scienza nuova” di Vico e con lo scenario spiazzante aperto dallo storico e filosofo napoletano. Che cioè ogni assetto sociale ha qualità proprie, valori propri, forme creative proprie, mai commisurabili tra loro: ciascuna va intesa di per sé, per quello che è e va compresa, ma non necessariamente giudicata. I Greci di Omero, ci dice Vico, quelli della classe dominante, erano crudeli, barbari, meschini, spietati verso i deboli; ma furono loro a creare l’Iliade e l’Odissea, qualcosa che noi, nel nostro tempo, tanto più illuminato, non siamo capaci di fare.
Quanto al secondo discorso di Berlin, quello di Toronto del 1994, va ricordata, tra tutte, l’ammonizione che “… se siete davvero convinti che ci sia una soluzione di tutti i problemi umani, che si possa concepire una società ideale che gli uomini sono in grado di realizzare semplicemente facendo ciò che serve per raggiungerla, allora voi e i vostri seguaci crederete che non esista prezzo troppo alto da pagare per aprire le porte ad un simile paradiso”.
Paolo Bonaccorsi
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero