14 ottobre 2015
CARLO COTTARELLI
LA LISTA DELLA SPESA
La verità sulla spesa pubblica italiana e come si può tagliare
Feltrinelli, Milano 2015
pp.203, euro 15
Un libro breve e densissimo, semplice. Puntuale. Dove l’autore affronta con un linguaggio chiaro e quotidiano, privo di ogni riferimento al politichese e alla terminologia specialistica proprie degli autori di cose economiche, i temi essenziali del bilancio pubblico, delle voci di entrata e uscita delle amministrazioni centrali, periferiche, regionali e locali, delle possibilità di comprimere, ridurre o razionalizzare quel gigantesco fiume di oltre 800 miliardi di euro, che costituisce il complesso della spesa pubblica.
Il professore cremonese narra con prosa, brillante, a volte quasi scanzonata e, comunque, sempre godibilissima, quell’anno difficile ma assai interessante di commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, dall’ottobre 2013 al novembre 2014.
Come Cottarelli tiene a chiarire immediatamente, nel volume non ci sono scoop o rivelazioni su quello che accade nei corridoi dei ministeri romani, nelle anticamere degli assessorati regionali o nei consigli di amministrazione delle 8.000 aziende controllate dalla mano pubblica.
Obiettivo primario è fare giustizia delle troppe “leggende metropolitane”, con esagerazioni sia in un senso (“tutta la spesa è spreco”) sia nell’altro (“se si taglia la spesa pubblica si distrugge il welfare state“). Obiettivo perfettamente riuscito, anche se perseguito con uno stile discorsivo ed elegante e senza ricorso a tavole e a grafici. Anche perché, ricorda l’autore, l’editore gli aveva precisato, “che ogni tavola dimezza le vendite!”.
I dati di partenza esposti nel primo capitolo costituiscono la base per tutta la restante narrazione: 1) La spesa pubblica italiana, nonostante i tagli realizzati a partire dal 2010, eccede quello che ci possiamo permettere (secondo criteri internazionali universalmente accettati) di almeno il 2 e mezzo per cento del prodotto interno lordo, ovvero circa 40 miliardi. 2) Assumendo che la spesa per pensioni sia poco comprimibile, spendiamo troppo in quasi tutti i settori, con l’eccezione di cultura e istruzione. Ed infatti le proposte avanzate da Cottarelli non prevedevano tagli per questi due settori.
Ma non perché non ci fosse da risparmiare anche in queste aree, ma perché, se si fosse risparmiato, si sarebbe dovuto reinvestire nelle medesime. Fra l’altro, studi condotti dal dipartimento di finanza pubblica del FMI, diretto proprio da Cottarelli fino al 2013, indicano che la spesa per l’istruzione è quella che più fa aumentare il reddito di un paese nel medio periodo.
In ogni caso, ed è questa la filosofia che percorre l’intera opera, ogni governo e parlamento che si ponessero il concreto obiettivo di incidere sulla spesa, dovrebbero rispondere preliminarmente a queste cinque domande:
1) Occorre fare ogni sforzo per accentrare gli acquisti di beni e servizi?
2) La spesa pubblica deve essere utilizzata per sostenere taluni settori produttivi?
3) Si intende ridurre la spesa pensionistica ed entro quali limiti?
4) Le tariffe pubbliche debbono coprire i costi dei servizi offerti? Chi deve godere di tariffe agevolate?
5) Quali sono le aree considerate prioritarie per la spesa pubblica?
Ai posteri, e soprattutto a Yoram Gutgelt, successore di Cottarelli nel delicato incarico, l’ardua sentenza!.
Paolo Bonaccorsi
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero