28 maggio 2014
LE MERAVIGLIE
di Alice Rohrwacher [Italia, 2014, 111′]
con Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sanine Timoteo, Agnese Graziani e Monica Bellucci
Per Gelsomina, alle soglie dell’adolescenza, sembra giunto il momento di scegliere tra gli affetti familiari e i richiami del mondo esterno. Prima di quattro figlie, cresciuta in un cascinale della campagna umbra, ha un rapporto contrastante con il burbero padre e contende alla sorella minore l’affetto di una madre premurosa (Alba Rohrwacher). La sua vita scorre monotona tra le arnie del padre apicoltore, finché non viene a contatto con il fascino irresistibile della tv.
L’incontro casuale con una troupe televisiva locale e una fata (una azzeccatissima Monica Bellucci) che pubblicizza un concorso di prodotti tipici le instillano una curiosità quasi morbosa per quel mondo. Curiosità che cercherà fino all’ultimo di nascondere al padre, che s’intestardisce nel preservare le proprie figlie dalla corruzione di un mondo che è sicuro essere prossimo alla fine. Come se non bastasse, l’arrivo di Martin, ragazzo taciturno e problematico piombato in casa per un programma di reinserimento, accelera ulteriormente l’uscita di Gelsomina dall’infanzia.
Alice Rohrwacher, al suo secondo film, conferma ottime doti nel dipingere figure credibili di giovani ragazze alle prese con il mondo degli adulti: dopo la Marta di Corpo Celeste tocca ora a Gelsomina. Rispetto alla pellicola d’esordio, però, Le Meraviglie aggiungono uno spiccato accento autobiografico alla narrazione: come le quattro bambine del film, anche le sorelle Rohrwacher sono cresciute in un ambiente bucolico e sono figlie di un apicoltore tedesco e di una contadina umbra. La regista, con un abile uso di soggettive e dettagli, è brava a porsi fin da subito dal punto di vista della ragazzina per raccontare il suo mondo.
Dunque, in un universo fuori dal tempo, in cui la tv sembra essere l’unico sbocco verso l’esterno, la Rohrwacher traccia una ritratto iperrealistico, con una colonna sonora assente, e allo stesso tempo atemporale e indefinito. Questo almeno fino agli ultimi venti minuti, quando il sapiente equilibrio tra fiaba e realtà si scioglie sprofondando in una dimensione onirica e ingiustificata, a nostro avviso eccessivamente paradossale e quasi fuori luogo.
Ciò non toglie nulla alla regia accurata, alla ortografia nitida ed essenziale e all’ottima direzione degli attori. Da sottolineare soprattutto il rapporto di profonda fiducia con le attrici più giovani, che sembrano a loro agio anche nelle scene di maggior impatto. Grand Prix della Giuria e dodici minuti di applausi a Cannes per un film per certi versi spiazzante ma da considerarsi senza dubbio un’opera di qualità, nel solco di un cinema italiano che sembra tornare a contare qualcosa anche a livello internazionale.
Emiliano Mariotti e Matteo Polo
questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi