8 gennaio 2014
SIMON WINCHESTER
ATLANTICO
Adelphi, nov. 2013
pp. 488, euro 32
“Mare interno della civiltà occidentale” è stato definito l’Atlantico, una massa immensa d’acqua grigia, di ottantacinque milioni di chilometri quadrati, a forma di S, noto come Grande mare occidentale, che collega milioni di persone. Oggi percepito come mera distanza, il tempo di due film visti distrattamente su una poltroncina d’aereo, in realtà luogo pauroso e temibile per gli antichi, che lo pensavano abitato da mostri terrificanti come le Gorgoni e i giganti Centimani. Solo i Fenici osarono attraversare 3000 anni fa le Colonne d’Ercole, forse l’attuale stretto di Gibilterra, per raccogliere su quelle coste atlantiche il mollusco di in una bella conchiglia dal nome “murice comune”, dal quale estrarre la preziosa porpora, che fece la fortuna di quella terra, il Marocco: perciò quella conchiglia appare oggi sulle sue banconote .
Ma come descrivere una realtà così sconfinata, si chiedeva l’autore, inviato speciale londinese, ed ebbe un’idea, quella di trattare l’Atlantico come un personaggio, con una sua vita, tracciando dunque la sua biografia, la sua storia geologica, la sua evoluzione fino alle dimensioni attuali, la sua presunta contrazione e morte. Apprendiamo allora che il “mondo moderno riconoscibile iniziò a modellarsi 250 milioni di anni fa, all’inizio delle epoche del Triassico, ma che il primo istante di vita dell’Oceano Atlantico risale a 195 milioni di anni fa allorché i grandi continenti si aprirono con un processo scomposto, come quando “un cammello si mette in piedi” e le prime acque si insinuarono tra i blocchi. Oggi l’Atlantico sta vivendo la sua mezza età con pochi vulcani attivi, ma si prevede che entro 180 milioni di anni le coste tenderanno a saldarsi ancora e perciò l’oceano a svanire.
Restava poi a Winchester di descrivere il fattore umano, la storia degli uomini che lo hanno vissuto lungo le sue coste e lo hanno attraversato nei secoli, ma i fatti sono così tanti e turbinosi che bisognava trovare un metodo, un impianto. E l’autore lo trovò inaspettatamente in Shakespeare, nel suo famoso discorso “Il mondo è tutto un palcoscenico” tratto da “Come vi piace“, ove si parla dei sette stadi della vita umana: il Bambino, lo Scolaro, l’Amante, il Soldato, il Giudice, Pantalone in ciabatte, la Seconda infanzia. Ecco, Winchester scelse di “trasformare in attore ciascuno dei temi della vita oceanica” secondo gli stadi citati.
Ne è sortita una grande epopea dell’oceano, ricca di storia e aneddoti, di geografia e scienza, ma anche di ricordi personali, come l’indimenticabile soggiorno a Mykines, una di quelle diciotto schegge di basalto nero che sono le isole dell’arcipelago delle Faeroer, nell’estremo nord dell’Atlantico, quando con le gambe ciondolanti a bordo della scogliera su 800 metri di vuoto l’Autore poté ammirare la terrificante immagine del nulla dell’Oceano sconfinato, in un turbine di uccelli marini, di pulcinelle di mare. E davanti ai nostri occhi di lettori ipnotizzati dalla scrittura affabulatrice ma aderente alla verità storica, scorrono le immagini di vichinghi predatori, scoperte mirabolanti, mercanti di schiavi, cacciatori di balene, pirati, tempeste titaniche. E il respiro monotono, o stridente, o devastante delle grandi onde oceaniche, ci entrano dentro come accadde agli ultimi passeggeri della “Empress of Britain”, l’ultimo transatlantico inglese che solcò l’Atlantico nel 1963, sostituito definitivamente dalle linee aeree della Pan American.
Uno dei più bei romanzi geografici del 2013, che induce a scoprire, pagina dopo pagina, la grande storia di quella millenaria umanità che si è affacciata e ha attraversato quell’immenso mare, allora come oggi centro vitale del potere dell’Occidente.
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero