13 novembre 2013

IMPRESE STROZZATE: DUE RIMEDI MILANESI AL CREDIT CRUNCH


Il credit crunch non dà tregua all’Italia e a farne le spese è soprattutto il Nord. Secondo una indagine del centro studi di Unimpresa su dati della Banca d’Italia, tra il 2012 e il 2013, a soffrire di più il calo dei prestiti sono state le province del Nord rispetto a quelle del Sud (3,8% contro 2,4%). Eppure esistono alternative al finanziamento bancario. Due di esse sono nuove e legate a Milano: BacktoWork24 e i minibond.

02magri39FBBacktoWork24 è la società milanese fondata nel febbraio 2012 da Carlo Bassi, attuale socio e amministratore delegato, a seguito di una sua esperienza di vita. Bassi ricorda così la nascita di BacktoWork24: “A un certo punto della mia vita, mi sono detto che non mi sarei più dovuto trovare nella situazione di essere lasciato professionalmente a piedi. Ho deciso, quindi, di investire le mie capacità, esperienza e risorse all’interno di piccole realtà come Sartoria di Milano Acquadimare e Centro Medico Ambrosiano, rimettendomi in gioco e preservando il mio futuro a prescindere dal mio ruolo di manager, che comunque ho continuato a portare avanti in grandi società. BacktoWork24 è nata quindi come un’iniziativa privata del sottoscritto, quando ho capito che il fenomeno della cancellazione dal mercato del lavoro di tanto capitale intellettuale (manager, professionisti e dirigenti) stava diventando drammatico e contemporaneamente vedevo decine di migliaia di aziende morire per la mancanza di credito e nuove competenze adatte ad affrontare i mercati”. Un anno dopo (marzo 2013), l’acquisizione del portale BacktoWork24 da parte del Gruppo 24 Ore: “l’interlocutore di riferimento del mondo economico e imprenditoriale italiano”, commenta Bassi.

Ma quali sono gli obiettivi del portale? L’a.d. di BacktoWork24 spiega: “La nostra missione è accompagnare le pmi nella ricerca di risorse sia umane (manager, dirigenti e professionisti che vogliono investire denaro ed esperienza come soci e partner), sia finanziarie, per mezzo di investitori privati. Ci rivolgiamo dunque alle pmi italiane (dalle start up a imprese fino a circa 150.000 euro di fatturato); ai manager o professionisti che vogliono proseguire la loro carriera come imprenditori e agli investitori interessati ad aziende sane e a un buon ritorno dell’investimento”. La ricerca di risorse umane non deve però far confondere il portale con le società di outplacement o di placement. Bassi a questo proposito chiarisce: “Il requisito fondamentale per chi si iscrive al nostro portale è la volontà di diventare imprenditori”.

Un’altra modalità di finanziamento per le imprese alternativa alla banca sono i minibond, introdotti dal Decreto Sviluppo 2013. Doppio il filo che li lega a Milano: il mercato dove sono negoziati – la Borsa di Milano – e la localizzazione della maggior parte delle potenziali emittenti: imprese del Nord, secondo uno studio di Crif, agenzia di rating italiana specializzata nella valutazione di imprese non finanziarie.

Ma cos’è un minibond? “È un’obbligazione, ossia un prestito concesso dall’investitore alla pmi che l’ha emesso”, spiega Alessandro Sannini, consulente finanziario, blogger e partner di KEP Consulting, società di consulenza finanziaria milanese che si adopera anche per la diffusione dei minibond. “Ma il minibond è soprattutto un modo per rendere presentabile un’azienda e renderla meno padronale, perché comporta l’entrata del capitale di uno sconosciuto e quindi una maggiore trasparenza. Per emettere un minibond, servono un bilancio certificato e un documento informativo per gli investitori. Servono anche risorse per la comunicazione finanziaria: interna o esternalizzata. È anche caldamente consigliato un rating: più informazioni si danno, più si diventa interessanti per gli investitori”, continua Sannini. Già, ma chi investe nei minibond? E in quale mercato? “Sono quotati nel segmento Extra Mot Pro della Borsa di Milano, riservato a operatori professionali qualificati, come fondi d’investimento obbligazionario, la maggior parte dei quali legati a una banca”, illustra il partner di KEP Consulting.

Si potrebbe raccogliere denaro anche con la quotazione o dai fondi di private equity (dove un investitore rileva la quota di una società e le fornisce capitale senza che questa si quoti in un mercato regolamentato). Ma non si godrebbe dei vantaggi dei minibond, così riassunti da Sannini: “Maggiore trasparenza e cultura d’impresa, supporto all’internazionalizzazione, minore costo rispetto a una quotazione”. I minibond hanno un potenziale fra i 50 e i 100 miliardi di euro l’anno, secondo una stima dello stesso Sannini, eppure non sono ancora molto diffusi in Italia. Il motivo? “Il nostro è Paese è impreparato: gli imprenditori non sono abituati al mercato e alle innovazioni, il segmento Aim per le pmi lanciato da Borsa Italiana non ha avuto successo. E abbiamo un sistema bancocentrico. Fermo restando che” – avverte Sannini – “il passaggio dal salotto al mercato è complicato e se non gestito bene, può essere una catastrofe”.

 

Valentina Magri

 



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