15 marzo 2011

musica


UN FLAUTO NON PROPRIO MAGICO

Nel programma di sala Escobar si chiede “cos’è questo Flauto Magico? Opera lirica? Sicuramente no. Teatro musicale? Forse. Teatro? Sicuramente“. E nella “guida al palcoscenico” del Corriere della Sera, Magda Poli scrive che Peter Brook – con la “libera e felice versione del celebre singspiel” in scena in questi giorni al Teatro Strehler – “ritrova nel viaggio iniziatico di Mozart quelle zone di ombra e di luce che porteranno gli eroi della vicenda a confrontarsi con le tre parole cardine di ogni ricerca terrena e celeste: saggezza, amicizia, amore. Il genio di Brook conduce su questi alti sentieri con la grazia e l’innocenza di un gioco amoroso di adolescenti affacciati alla vita“.

Dal 22 febbraio – giorno del suo debutto fino a questi giorni in cui si concludono le repliche – di quest’opera non abbiamo letto che meraviglie, e d’altronde il pubblico che affolla la sala tutte le sere l’accoglie con un entusiasmo a dir poco eccessivo (purtroppo è diventato legittimo esprimersi con urla smodate, a teatro come allo stadio); il titolo recita giustamente “Un flauto magico” anziché “Il flauto magico” (“Eine Zauberflöte” contro l’originale “Die Zauberflöte”) e viene anche precisato che è “liberamente adattato … da P. Brook, F. Krawczyk e M.H. Estienne“. Tutto giusto e bello, dunque? Mah … ci piacerebbe interpellare i nostri quattro lettori e – se taluno di loro l’avesse visto – chiedergli se ha condiviso tanto entusiasmo. Noi ne siamo rimasti delusi e cerchiamo qui di darne ragione.

Come ben si sa il Flauto è stato scritto da Mozart in tempi ristrettissimi, poche settimane prima di morire: lo iniziò nel maggio del 1791, s’interruppe in luglio e agosto per scrivere “La clemenza di Tito” e lo ultimò il 28 settembre per consegnarlo a Schikaneder per la prima che sarebbe andata in scena due giorni dopo (!). E’ l’estrema testimonianza di quella fede massonica che – ancorché prorompa da ogni nota – si cerca sempre di minimizzare, una fede senza la quale l’opera sarebbe priva di senso logico e poetico. Basti pensare allo straordinario ribaltamento di giudizio che Mozart opera nello svolgimento della favola, con la Regina della Notte che appare all’inizio come innocente vittima e si rivela poi l’orrenda plagiatrice della figlia (non a caso verrà spesso associata all’odiato Ancien Régime) e viceversa Sarastro che viene presentato come mostro e poi si scopre essere sommo esempio di bontà e di saggezza e dunque associato (la Bastiglia era stata assalita appena due anni prima) all’Illuminismo.

Si può trascurare la drammaticità di questo travaglio della coscienza, la consapevolezza della storia, il senso etico che permea tutto il racconto, riconducendo il tutto a sereni giochi adolescenziali? E dal punto di vista squisitamente teatrale, essendo esplicitamente l’opera un Singspiel (letteralmente canto e recitazione alternate), è ragionevole mettere insieme il tedesco delle arie (cantate) con il francese delle parti recitate e la traduzione (pessima) in italiano sul display che sovrasta la scena? Come si può creare una situazione psicologica e un milieu culturale in quella babele linguistica?

E’ vero, nelle intenzioni degli autori non si tratta di opera lirica, né di “quella” opera; ma la musica c’è, eccome, ed è o dovrebbe essere ancora quella di Mozart anche se, con una dichiarata scelta minimalista, è stata adattata a un testo sintetizzato in un’ora e mezza, in un atto unico, ridotta al solo pianoforte (ma che tremendo impoverimento … sembra di essere solo alle prove, dove sono finiti tutti quei maliziosi rinvii fra il racconto sulla scena e gli strumenti dell’orchestra?). Bisogna rispettare quella musica se non altro per il rispetto dovuto a un capolavoro che Goethe disse esser “la sola musica che avrebbe potuto rivestire di note” il suo Faust, e che Wagner considerò “una delle vette dell’arte musicale“. E allora perché mescolare le arie mozartiane con un corale bachiano, ancorché incantevole, e perché mai infilarci la Fantasia K. 397 in re minore, dello stesso Mozart ma di tutt’altro significato dal punto di vista musicale?

Infine le voci: sono cantanti per un’opera lirica o attori per un teatro di prosa? Probabilmente il pubblico del Piccolo non fa gran differenza, ma la parte della Regina della Notte è una delle più difficili da affrontare nel repertorio operistico e serve una soprano superpreparata (proprio non c’eravamo), e così la parte di Sarastro è di basso, non può essere affidata a un baritono la cui voce scompare ogni volta che deve scendere sotto il la! Per fortuna c’era una bravissima Pamina (Agnieszka Slawinska) che ha risollevato gli animi.

Ovviamente Peter Brook è pur sempre un genio, e infatti l’opera – nonostante la banalità di alcuni movimenti di scena – è piena di invenzioni “magiche” (appunto), come quelle canne di bambou miracolosamente verticali grazie un piccolo piede metallico, che raccontano la foresta, il tempio, il passaggio sotterraneo, la prigione, la camera nuziale, e sostituiscono le machineries che hanno sempre appesantito il palcoscenico e distratto il pubblico dalla musica. La musica di quell’eterno ragazzo di trentasei anni che all’una di notte fra il 4 e il 5 dicembre, due mesi dopo averla scritta e diretta, moriva mentre ancora stava spiegando come si sarebbe dovuto completare il suo Requiem.

 

Musica per una settimana

Concluso il Carnevale, anche quello ambrosiano, la stagione riprende alla grande con una settimana densissima di appuntamenti:

* giovedì 17, venerdì 18 e domenica 20 all’Auditorium, l’Orchestra Verdi diretta da John Axelrod incornicia la Totentanz di Liszt (il pianista è Benedetto Lupo) fra Don Juan e Der Rosenkavalier (suite) di Richard Strauss.

* giovedì 17 e sabato 19 al Teatro Dal Verme l’orchestra dei Pomeriggi Musicali ci propone un programma interamente russo con la “Ouverture su temi ebraici” di Prokof’ev, le “Sette parole di Cristo” della Gubaidulina e la “Sinfonia da camera” di Shostakovich, dirette da Otto Tausk e i solisti Alexander Chaushian (violoncello) e Germano Scurti (bayan).

* sabato 19 alla Scala, ultima recita dell’opera “Death in Venice” di Benjamin Britten, diretta da Edward Gardner per la regia di Deborah Warner e un cast totalmente inglese.

* fino a sabato 19, proseguiranno al Piccolo Teatro le recite di “Un Flauto Magico” quello di Peter Brook, che sta riscuotendo un grandissimo successo e di cui noi non siamo affatto entusiasti.

* mentre domenica 20 alla Scala avremo la prima del vero Flauto Magico, quello di Mozart, diretto da Roland Böer per la attesa regia di William Kentridge, con Saimir Pirgu e Steve Davislim (Pamino), Genia Kühmeier (Pamina) e Albina Shagimuratova (la Regina della notte).

* sempre domenica 20, alle 10.30 alla Palazzina Liberty di largo Marinai d’Italia per Milano Classica, il Collegium Pro Musica (con Stefano Bagliani, Lorenzo Cavasanti e Manuel Staropoli flauti dolci e Andrea Coen al cembalo) in un programma che comprenderà musiche di A. Dornel, L. Couperin, G.M. Cesare, R. Hirose, A. Pärt, H. Purcell, W. A. Mozart, J. S. Bach, G. P. Telemann.

* ancora domenica 20 ma alle 11, per il ciclo di musiche del grande Nino Rota, all’Auditorium l’Orchestra Verdi diretta da Giuseppe Grazioli eseguirà “Il cappello di paglia di Firenze”, il Concerto per violoncello e orchestra n. 2 (prima esecuzione a Milano) e la suite dal balletto “La strada” (ricordate Fellini?).

* lunedì 21 Vladimir Askhenazy dirige la Filarmonica della Scala in un concerto molto ricco, che comprende ancora la Sinfonia da camera di Shostakovic (vedi al Dal Verme il giorno prima), il Concerto per oboe di Mozart (solista Francois Leleux) e la Quarta Sinfonia di Schumann

* lunedì 21, al Conservatorio per le Serate Musicali, la pianista georgiana ventiquattrenne Khatia Buniatishvili – una delle promesse di Martha Argerich – propone la Sonata in si minore di Liszt, una Ballata e tre Scherzi di Chopin, per concludere con tre movimenti dalla suite di Petrouchka di Stravinski.

* martedì 22, sempre al Conservatorio ma per la Società del Quartetto, il famosissimo Quartetto di Tokyo (che aveva minacciato il ritiro ma che per fortuna è ancora tra noi) eseguirà di Mozart il Quartetto in re minore K.421 e i Quintetti n. 2 in do maggiore K.515 e n. 5 in re maggiore K.593 per due violini, due viole (l’altro violista è Naoko Shimizu) e violoncello.

* mercoledì 23, ancora al Conservatorio ma per la Società dei Concerti lo stravagante pianista turco, beniamino della coppia Mormone – Ciccarelli, inizierà con la Sonata in sol maggiore opera 78 di Schubert (D. 894) per proseguire con sue curiose invenzioni e improvvisazioni.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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