15 marzo 2011

PROPOSTE PER IL MASSACRO DEL TERRITORIO COMUNALE?


Proviamo a fare una analisi del primo capitolo del documento generale del Piano di Governo del Territorio (PGT) di di Milano. Una città metropolitana e multicentrica? Per affrontare la contraddizione tra multicentrismo urbano e radiocentrismo milanese, nel documento si invoca genericamente “un modello di mobilità e un’idea di città futura alternativa a quella radiale “. Ma è evidente che per superare la dimensione mono-radiocentrica di Milano non basta una politica della mobilità e delle infrastrutture, mentre si esaurisce nella as-trattezza ideologica  l’affermazione di voler restituire “autonomia ed efficienza alle urbanizzazioni più periferiche” e metropolitane. L’attuale conformazione strutturale di Milano viene in concreto giustificata e confermata dalla scelta politica di continuare a costruire strade e autostrade e di imporre il predominio assoluto della mobilità privata e su gomma. La generica affermazione di “ripensare urbanisticamente Milano entro un assetto metropolitano vasto” diventa un alibi ideologico per continuare a consumare suolo.

Quali “parti” e quali “voci” di città? Città “polifonica”, “straordinario caleidoscopio denso di criticità e opportunità”, “sottolineare le identità e le specificità dei quartieri …”: è ingannevole retorica dentro una visione prevalentemente quantitativa della crescita urbana. La divisione artificiosa di Milano ” in cinque diverse parti”, (centro storico – città reticolare a est” – città stellare a ovest – città dei Navigli – città a nord del centro storico) tutta “interna” ai confini amministrativi, porta a ratificare il monocentrismo delle “mura spagnole” e il suo dominio sull’intera città e sulla sua area metropolitana; a considerare ancora e periferie le identità urbane dei quartieri. Impedisce l’assunzione e l’attuazione di un vero decentramento policentrico. Non si prende in considerazione, neanche in via di ipotesi, la possibilità / necessità di scomporre l’unità amministrativa centralistica di Palazzo Marino – un vero moloch, nel senso di organizzazione irrazionale che soffoca i diritti e le esigenze individuali
e sociali delle persone e del territorio – in un certo numero di Comuni (le storiche 20 zone / municipalità). La questione Milano è analoga a quella di tutte le metropoli del mondo, in quanto città di città. Si tratta di fare di Milano (come di un’altra decina di grandi città italiane, le cosiddette Città Metropolitane) un insieme di medie città, riequilibrando il rapporto con i centri urbani dell’area vasta attraverso un ridisegno istituzionale amministrativo e politico che istituisca e riconosca la Città e la Cittadinanza Metropolitana (ovviamente abolendo l’ente Provincia), che attui un modello di democrazia urbana partecipativa e promuova politiche di sostenibilità ambientale infrastrutturale economica sociale culturale.

I pieni e i vuoti della città: quali rapporti? La questione dei rapporti tra i “pieni” e i “vuoti” della città viene affrontata in maniera sbrigativa dentro una concezione del suolo come risorsa e non come bene primario e comune. Non si considera il territorio del comune di Milano pieno come un uovo. I “vuoti” rimasti o che si liberano sono ancora un certo numero di aree dismesse e fazzoletti strisce coriandoli di prezioso suolo che urge vengano tutelati e valorizzati in quanto “vuoti”, in quanto spazi liberi e verdi per far respirare la città di città. Invece viene posto l’obiettivo di riempirli. Si teorizza la “permeabilità quale ‘materiale’ di irrobustimento della struttura urbana di Milano”. E si concepisce la densificazione “come approccio innovativo al concetto di qualità urbana”. Si apre così la strada alla ulteriore permeabilità della speculazione edilizia nei parchi (molto appetibile il Parco Agricolo Sud e non solo!…) e negli spazi verdi. E si chiude ogni porta a veri approcci innovativi e soprattutto a proposte migliorative della qualità dell’ambiente urbano.

Si poteva e si doveva partire da un’analisi critica dello stato dei piani di riqualificazione urbana (p.r.u.) e di intervento integrato (p.i.i.) in fase di attuazione e/o di stagnazione, mettendone in evidenza aspetti negativi, e veri disastri urbanistici ed ecologici. Grandi progetti che, avvolti dalla retorica spettacolare delle firme delle archistar, nascondono una pesante insostenibile cementificazione, riducono i parchi urbani previsti sulla carta in misero verde condominiale. Si sta parlando, ad esempio, dei cantieri di Santa Giulia / Rogoredo, di Porta Vittoria, di Isola / Garibaldi / Repubblica / ex Varesine, di Fiera City Life, di ex Magneti Marelli / Quartiere Adriano. Torri alberate (!?) e grattacieli… sbilenchi e dritti e storti. Grandi opere edilizie ancora incompiute, messe in discussione – da comitati di cittadini attivi e consapevoli e da urbanisti e tecnici che non si vendono allo strapotere degli speculatori immobiliari – sotto il profilo dell’impatto ambientale e della tutela del patrimonio architettonico e culturale e della qualità della vita nei quartieri. Su alcune di esse è intervenuta la Magistratura per gravi reati ambientali e intrecci di interessi con la criminalità organizzata. C’è materia per riflettere e per cambiare rotta. Nessun cenno nel documento del PGT.

Città lenta e città veloce? Si disquisisce con disarmante superficialità di città lenta (“qualità dell’abitare”) e di città veloce (lavoro e mobilità). E prevale in maniera schiacciante quella veloce. Si mettono pesantemente i piedi nel piatto e si tracciano cinque assi autostradali fondamentali: l’asse nord-ovest che entra a Milano da Malpensa; l’asse trasversale che connette la zona nord (la famigerata Gronda Nord!); l’asse est dell’attuale tangenziale che diventerà un’infrastruttura urbana una volta realizzata la tangenziale est esterna; l’asse di margine urbano sud che collegherebbe Parco Sud, Rogoredo, Porta Romana e Navigli; l’asse nord/sud nella parte ovest della città. Come se non bastasse, si sostiene il “rafforzamento” di “alcuni assi radiali d’uscita da Milano”. E’ la riproposizione della tradizionale politica stradista: aumento del viluppo autostradale attorno alla città e nuovi assi di penetramento e attraversamento urbano in tutte le direzioni. Saltano quei “criteri di compatibilità e sostenibilità” che a parole si vorrebbero seguire a favore della città lenta. E, rafforzando gli “assi radiali”, si consolida il carattere centripeto e radiocentrico di Milano che pure, a parole, si vorrebbe superare.

Dall’ascolto all’identità dei quartieri…? Esclusi da ogni momento di partecipazione ed espropriati di strumenti di conoscenza, i cittadini vengono confinati in un “campo d’ascolto” simile alla ricerca di mercato e si vedono relegati al ruolo subalterno di richiedenti e di consumatori di servizi. L’ideologia della sussidiarietà, mentre fa diventare secondario il ruolo di governo e di gestione dell’ente locale, mina dalle fondamenta il welfare pubblico. Si inventa una mappa che frantuma la città in 88 Nuclei di Identità Locali (NIL). Mancando un ridisegno amministrativo che aggreghi i NIL in confini municipali policentrici, è una mappa senza bussola. E la rete dei NIL, più che a un arcipelago – come viene definito nel documento – somiglia a un labirinto in cui non solo è difficile orientarsi, ma diventa facile perdersi.

Consumo di suolo, densità, dotazione dei servizi : quali rapporti? Non si fa cenno alle questioni nodali: sviluppo abnorme degli investimenti immobiliari; caratteristiche parassitarie della rendita fondiaria e urbana; speculazione edilizia e finanziaria; quantità di vani e immobili vuoti; decremento demografico dal 1975 (con un leggero recupero grazie agli immigrati!) e contraddittorio obiettivo di incremento dichiarato nel documento.
Affermazioni altisonanti (suolo risorsa limitata e per questo preziosissima – il vuoto bene prezioso dal punto di vista ambientale e paesaggistico – Milano città che non si può permettere di consumare ancora suolo) vengono puntualmente smentite e contraddette dalle proposte concrete presentate.
Ad esempio, non è contraddittoria e assurda ” l’ipotesi sulla capacità accoglibile (sic) di residenti nella città nonostante la previsione di riduzione del consumo di suolo” dal 73% del 2009 al 67% del 2015, fino al 65% del 2030 (che pure sono percentuali insostenibili)?

Non è mistificatorio teorizzare la densificazione , cioè “la crescita della città nella città”, come risposta alla necessità di ridurre il consumo di suolo? Come si fa ad affermare che “densificare significa favorire la costruzione della città multicentrica”, senza porsi il problema del decentramento amministrativo, della valorizzazione dei vuoti senza riempirli di cemento, di una rivisitazione urbanistica fondata su ristrutturazioni e riusi e anche demolizioni? Il riconoscimento che “la domanda di residenza sociale non ammette rinvii” non deve diventare l’alibi per continuare a costruire, e addirittura a “edificare nuove parti di città sul brown field, vale a dire sulle aree insalubri”(!?). L’urgente bisogno di residenza e di affitti sociali e popolari riguarda i diritti fondamentali, e va affrontato con strumenti adeguati di politica sociale e fiscale, di valorizzazione sociale (e non alienazione ai privati) dei beni immobiliari pubblici. Bisogni e diritti che non vanno dati in pasto al mercato.

Lo stesso dicasi dei servizi, arbitrariamente ridotti a due ambiti (infrastrutture e spazi aperti). Il Piano abbandona la “logica dello standard e dei servizi pianificati” dei vecchi piani regolatori. Ridimensiona drasticamente il ruolo del Comune e lo relega a quello di una generica “regia”. Degrada il governo pubblico al “dialogo con l’operatore privato”. Tutto diventa fluido e discutibile. Prevale la logica di un cosiddetto metodo / processo che definisce “criteri che di volta in volta divengono il quadro di riferimento per la dotazione di nuovi servizi”. Nessuna visione strategica di vero governo del bene comune e pubblico. Scompare l’interesse generale. Ci si affida totalmente alla logica del mercato. Si mercifica tutto.

Giuseppe Natale

 



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