15 marzo 2011

LISTE. AVANTI C’È POSTO. MA NON PER TUTTI


Un lettore, Marco Zio, ha scritto una lettera alla quale rispondo nella rubrica dedicata alla corrispondenza coi lettori ma il problema che solleva merita più di una risposta occasionale: come rinnovare la classe politica? Porsi questo problema alla vigilia di una consultazione elettorale, la stagione nella quale si dovrebbe raccogliere e non seminare, può sembrare fuori tempo massimo ma non è così perché uno dei meccanismi di rinnovamento è proprio legato alla pre-sentazione delle liste elettorali. Chi mettere in lista e con che regole è un tema attorno al quale persino le gerarchie     della Chiesa hanno preso recentemente posizione: nessuno in lista che abbia conti aperti con la magistratura. La forza di questa recente dichiarazione viene persino dopo la consueta raccomandazione di votare per chi sia maggiormente ossequiente ai valori più tradizionale della Chiesa.

Se invece che allo scadere di consultazioni amministrative locali fossimo alla vigilia delle politiche qualche partito, il Pdl in particolare, avrebbe dei grossi problemi a piegarsi ai desiderata del clero. Ma anche i partiti hanno i loro problemi e non tanto e non solo per evitare che in lista ci vada chi in galera c’è già stato o rischia di andarci ma per essere ossequienti anche solo alle norme statutarie che si sono liberamente dati. Il guaio degli statuti è che generalmente chi li fa o è alla fine comunque della sua carriera, e per questo ritenuto saggio ed esperto o, se pure giovane, non ha nessun interesse a farla.

Fatto sta che nello statuto del Pd ci sono norme che impediscono la rielezione per più di due mandati. Non è solo lo statuto del Pd ma anche molte altre norme di legge – per sindaci, presidenti e altre cariche – oltreché per associazioni private, circoli, clubs, che impongono di fatto limiti alla rieleggibilità o forzate rotazioni negli organi elettivi. Giusto o sbagliato che sia, comunemente si ritiene che tra i due danni, il formarsi di una casta autoreferenziale di inamovibili o il disperdere esperienze acquisite, la dispersione delle esperienze sia il minore dei due. Per la politica c’è un problema in più rispetto alle altre aggregazioni della società civile: alla carriera politica, così come la si vive in Italia, per gli eletti si collega quasi sempre una fonte di reddito che non solo consente una vita decorosa come quella media dei comuni cittadini ma ben di più, con accompagnamento di fringe benefits che quasi ne raddoppiano il valore.

Da questo punto di vista una mancata rielezione rischia di diventare persino drammatica. Dunque per una ragione o per l’altra alla fine si fanno deroghe e ci si avvita in una spirale perversa che porta alla ricerca spasmodica di incarichi retribuiti in aziende e istituzioni controllate dalla politica. Eppure c’è sempre qualcuno che resta fuori e spesso sono i meno peggio, talvolta i migliori i più democratici e per questo i meno attrezzati per la guerra delle poltrone. Ma bisogna uscirne e ragionare: l’intreccio tra carriera politica all’interno di un partito, carriera politica negli organismi elettivi, rinnovamento di uomini e donne, valorizzazione delle esperienze e apertura alla società civile è un nodo che va sciolto, pena il distacco totale tra politica e società civile e la morte della democrazia rappresentativa.

Come si dice nell’area della sinistra: dobbiamo aprire un dibattito. Ma a bocce ferme. Forse qualcosa possiamo dire fin da subito: quando si danno nuove regole del gioco bisogna mantenerle ma anche dilazionarne ragionevolmente l’applicazione e far capire a chi vuole entrare quale sarà il suo destino. Un lavoro per il dopo perchè oggi, rottamatori o meno, a Milano per un paio di mesi abbiamo un solo problema: mandare a casa Letizia Moratti e il centro destra senza se e senza ma, smussando gli angoli e, se ci si riesce, con un po’ di generosità e di autoironia. A vittoria ottenuta sarà più facile aggiustare qualche coccio.

L.B.G.



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