22 febbraio 2011

cinema


IL GRINTA

di Ethan e Joel Coen [True Grit, USA, 2010, 110′]

con: Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper

 

«La distinzione sta tra un atto che è sbagliato in sé e un atto che è sbagliato secondo le nostre leggi e i nostri diritti», riflette la piccola Mattie Ross (Hailee Steinfeld). Nota arguta e contemporanea in ogni periodo storico, ma calzante specialmente nel contesto con cui Mattie deve confrontarsi. Il Grinta [True Grit, USA, 2010, 110′], di Ethan e Joel Coen, è ambientato nelle terre dell’Arkansas del 1870. Remake del film omonimo girato da Henry Hathaway nel 1969, padre dell’unico premio Oscar vinto da John Wayne nella sua carriera. I fratelli Coen, però, scelgono di affidarsi più al romanzo originale di Charles Portis [True Grit, 1968], seguendone fedelmente la sua traccia attraverso la narrazione a posteriori di una ormai matura Mattie Ross.

Il racconto si sviluppa sulle tracce di Tom Chaney (Josh Brolin), codardo assassino del padre di Mattie, scappato verso i territori indiani. La ragazzina, dopo la morte del padre, vuole una cosa soltanto: vendetta. «Si deve pagare per tutto in questo mondo», secondo lei, e per regolare i conti con Chaney è disposta a qualsiasi cosa. Per farsi aiutare assolda Rooster “Il Grinta” Cogburn (Jeff Bridges), sceriffo corpulento e col vizio del whisky, ma ottimo pistolero. Inoltre, si aggiunge ai due anche il Texas ranger LaBoeuf (Matt Damon), interessato alla taglia pendente sulla testa di Chaney.

Il risultato è una cavalcata nel selvaggio West, ricca di cadaveri e pistole, speroni e pentole di fagioli. I Coen, dopo tanti capolavori (tra i quali spicca il premiato Non è un paese per vecchi), giocano con il più codificato immaginario americano – quello Western – e si presenteranno tra qualche giorno alla notte degli Oscar con dieci nomination. Il Grinta è un film western. Semplice, lineare, perfettamente nei canoni del genere.

Tra la bella fotografia di Roger Deakins (pensiamo alla cavalcata notturna di Cogburn e Mattie) e i dialoghi affilati, a noi in sala «il tempo ci sfugge», proprio come sussurra Mattie Ross sul finire del film. Si aggiungono le interpretazioni di Damon e Brolin, la splendida goffaggine di Lebowski travestito da cowboy-Wayne (con la benda sull’occhio destro, a differenza del Grinta-Wayne che la portava sul sinistro) ma, specialmente, il carattere di Hailee Steinfeld – classe 1996 – giustamente in corsa per la statuetta come miglior attrice non protagonista.

Anche se il titolo del film rimanda al soprannome di Cogburn – “il Grinta”, appunto – la grinta vera (True) è nella determinazione della bambina, Mattie, che pur di onorare la morte del padre accetta di inserirsi nel sottile confine tra legge e fuori legge. Non importa se la soluzione sta in un «atto che è sbagliato secondo le nostre leggi e i nostri diritti». E se «l’empio fugge anche se nessuno lo insegue» [Proverbi, 28:1] – citazione biblica d’apertura -, «il giusto è sicuro come un giovane leone» [Proverbi, 28:1] o, in questo caso, una giovane leonessa.

Paolo Schipani

In sala: Milano Apollo SpazioCinema Arcobaleno Filmcenter, Colosseo, Ducale Multisala, Gloria Multisala, Orfeo Multisala, Plinius Multisala, UCI Cinemas: Bicocca, Certosa; The Space Cinema – Rozzano; UCI Cinemas: MilanoFiori, Pioltello, Lissone, Como; Le Giraffe Multisala – Paderno Dugnano; Skyline Multiplex – Sesto San Giovanni; The Space Cinema; Vimercate, Cerro Maggiore, Arcadia – Bellinzago Lombardo, Cinelandia Multiplex – Gallarate

 

 

RABBIT HOLE

di John Cameron Mitchell

con Nicole Kidman, Aaron Eckhart, Dianne Wiest, Tammy Blanchard, Miles Teller

“Non c’è più niente di piacevole”. Con questa frase concisa Becca (Nicole Kidman) ha appena distrutto le esigue speranze di suo marito Howie (Aaron Eckhart) di recuperare quell’intimità che i due coniugi hanno visto irrimediabilmente svanire a seguito della scomparsa del figlio di quattro anni. La loro vita godeva di ogni privilegio che caratterizza l’agiata media borghesia statunitense. Una villetta a due piani, il giardino per le feste con amici e vicini, un cane. È proprio quest’ultimo che, scappando dal cancello di casa, ha provocato la foga infantile di Danny. Appena fuori dal recinto domestico il bambino è stato fatalmente investito dall’auto di un ragazzo.

Rabbit Hole inizia a raccontare la quotidianità di Becca e Howie circa otto mesi dopo la tragedia che li ha colpiti e che, come un terremoto di magnitudo incalcolabile, ha creato un solco così profondo nel terreno immaginario che sostiene le basi della loro coppia da dividere indissolubilmente i loro spazi. Non c’è nulla che riesca a riavvicinare i loro percorsi di vita. Howie ha deciso di provare ad affrontare il dolore attraverso le sedute di un gruppo di sostegno, Becca è passata dalla negazione all’odio riversato contro chiunque per liberare la rabbia repressa. Non c’è conforto per la donna nelle parole della madre e non c’è appiglio in una qualsiasi entità metafisica che in alcun modo riesce a sentire vicina.

L’unica e inspiegabile forma di sollievo è rappresentata dai lunghi pomeriggi passati sulla panchina del parco a chiacchierare con il ragazzo che, in quel nefasto pomeriggio, era al volante dell’automobile che ha ucciso suo figlio. Il ragazzo ha disegnato e scritto un romanzo a fumetti, Rabbit Hole. Citando fedelmente “Alice nel Paese delle Meraviglie”, la tana del coniglio conduce verso mondi paralleli. Universi che sono frutto della fantasia del giovane ma che servono a Becca, attraverso l’opera di una rassicurante e fervida immaginazione, per pensarsi felice e ancora circondata da tutte le persone che ama.

Martin Luther King ha detto: “l’amore è l’unica forza capace di trasformare un nemico in un amico”. Consapevole dell’inesauribile energia sprigionata da questo sentimento, il regista se ne serve in Rabbit Hole come collante per richiudere il profondo solco che separa Becca e Howie. John Cameron Mitchell, nel corso della pellicola, riesce sapientemente a non cadere nella trappola della retorica del dolore. Merito notevole di fronte a un tema così duro e drammatico. Il cast non delude. Spicca al suo interno Nicole Kidman, esordiente come produttrice e nominata all’Oscar. L’attrice australiana offre una stupefacente prova di bravura. Il ricorso, forse eccessivo, alla chirurgia estetica non le ha impedito di trasmetterci ogni singola emozione che le imponeva il personaggio.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Cinema Skyline Multiplex

 

questa rubrica è curata da Marco Santarpia e Paolo Schipani

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 

 

 



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