15 febbraio 2011

A CHE SERVONO GLI STUDENTI E GLI OPERAI


Studenti e operai. Si ripropone nelle piazze un rapporto storico. Due anime, unite negli anni passati dalla rivoluzione globale, ora nuovamente intrecciate nelle pieghe della vicenda FIAT. Lo scorso 28 Gennaio, infatti, studenti di tutta Italia, più o meno organizzati, hanno aderito allo sciopero indetto dalla FIOM CGIL. È forse questo il sintomo più evidente della profondità della crisi in atto? Per rispondere siamo chiamati a compiere un salto ai “formidabili”, e sempre discussi, anni del ’68. Anni di profondi cambiamenti per l’Italia e per il mondo. Nazioni come la nostra si trasformavano in paesi industriali, si intensificavano le grandi migrazioni interne, mentre i mezzi di comunicazione e trasporto diventavano sempre più rapidi e accessibili. Il “boom” economico aveva riportato il benessere nel mondo occidentale, perduto con lo scoppio della prima guerra mondiale. Quegli anni aprivano a nuove domande, scenari inediti che i movimenti sociali espressero, con rabbia e al tempo stesso con una profonda angoscia, in slogan e parole d’ordine. A partire quindi dalle grande fabbriche, venutesi a formare nel Nord Italia, insieme ai primi poli universitari in fermento, anch’essi collocati al Nord, grandi masse riscoprivano se stesse in una nuova realtà; un Marx moderno avrebbe potuto addirittura osservare i presupposti della formazione di una tanto agognata coscienza di classe.

Gli studenti, in questo modo, attraverso lo studio delle moderne scienze sociali, sentivano il bisogno di mettere in discussione ogni assetto sociale fino a quel momento considerato radicato, a partire dagli stessi ordinamenti professionali. Nel contempo gli operai, per lo più figli di braccianti, emigrati dal Sud Italia, rivendicavano, oltre ai salari, nuovi diritti attraverso esigenze come la formazione, quindi la libertà intellettuale, che gli studenti potevano incarnare con il loro slancio intellettuale verso il futuro. Entrambi videro un’opportunità di riscatto nella loro unione, pur senza negare aspetti conflittuali sottolineati anche da opere come: “Anche la classe operaia va in paradiso“. Mettendo in discussione reciprocamente se stessi, operai e studenti, hanno provato a raccogliere la sfida imposta dall’economia, non riuscendo purtroppo nell’impresa, per colpa una classe dirigente sorda e appesantita dal clientelismo.

Oggi, sulla base della nuova crisi globale in atto, si ripropone questa unione. Nelle vicende di cronaca, leggiamo i piccoli sintomi di una malattia più diffusa. Il caso Ruby, le vicende di Pomigliano e Mirafiori, la crisi politica del Nord Africa, la diffusione di nuove forme di estremismo, flussi sociali in continuo spostamento globale, lo sviluppo di Facebook e dei social network; tutte vicende apparentemente slegate ma che trascinano tanti risvolti concatenati l’uno con l’altro. La febbre globale sale, mentre la globalizzazione dei mercati punta ora sul Medio Oriente e sulle nuove sfide dell’Africa, e la classe dirigente legata a questo Governo resta sorda, sempre più appesantita dal torbido lasciato da un decennio in cui la Politica, con la “P” maiuscola, è stata accantonata per lasciare spazio al leaderismo dei singoli. Piccole vicende che chiamano in causa nuovi patti sociali, come appunto stiamo assistendo.

La vicenda attuale deve essere letta, senza dimenticare questa premessa, attraverso la lente della simbologia. L’operaio è il simbolo di una crisi produttiva e industriale in corso, le sue incertezze sono quelle di un intero settore, che ha trovato, in Italia, il suo periodo di gloria proprio negli anni ’60. Esso vive dentro di sé l’ulteriore contraddizione della crisi del Lavoro in cammino verso nuovi scenari di flessibilizzazione e individualità. È costretto a produrre nella crisi del modello taylorista e, per il caso FIAT, della Company Town all’Italiana, e percepisce la cecità della politica di fronte ai suoi problemi quotidiani e ai suoi diritti innegabili, si pone domande inedite e cerca delle risposte nella più completa solitudine. Lo studente è il simbolo della precarietà, dell’incertezza di fronte a un mercato sempre più internazionale, sempre più lontano se visto dall’Italia. Lo studente fonda la sua interpretazione della realtà, a partire dalla scuola superiore, con pochissime basi di educazione civica e possedendo una conoscenza della storia e della letteratura ferma agli anni ’50. Esso annaspa nella crisi globale alla ricerca di una propria interpretazione, si pone domande inedite e cerca risposte nella più completa solitudine.

Due settori produttivi, i metalmeccanici e i ricercatori, illusi per anni di essere i settori guida di questo Paese, da una parte della vecchia Italia industrializzata, dall’altra la nuova Italia che non riesce a guardare oltre i propri confini, lasciati senza futuro, si ritrovano ora insieme a porre la stessa domanda: “A cosa serviamo in questo Paese?”. Questa è la sfida che un Governo dovrebbe essere in grado di affrontare, ora.

Giorgio Uberti

 



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