8 febbraio 2011

GIULIANO PISAPIA CANDIDATO IN “SURPLACE”


Di questi tempi la frase preferita tra gli interessati alle elezioni comunali milanesi è: “ma Pisapia che fine ha fatto?”. Sottolineando una apparente sparizione del candidato. In realtà probabilmente il poveraccio passa di riunione in riunione di convegno in convegno, tuttavia pochi se ne accorgono. Perché? Semplice: 1) si è esaurito l’effetto novità (partire per primi ha vantaggi e svantaggi); 2) è scesa in campo la Moratti: inaugurazioni, vernici, libri (con pile nelle librerie e vetrine manco fosse Dan Brown), servizi giornalistici, interviste televisive, comparsate in trasmissioni varie (mitica quella su Victor Victoria con Letizia in ben riuscita versione sexy e giuro non ho bevuto, triplo chapeau al consulente d’immagine), rievocazioni nerazzurre, danè; 3) i temi nazionali incombono; 4) i sostenitori del Pisapia si dedicano allo sport preferito della gauche: discutere di liste, simboli, candidati, commissioni e officine, cantieri e zone, organigrammi e programmi, dibattere sui giornali amici e pontificare su “i problemi sono altri”.

I primi due fatti sono ovvi inevitabili e prevedibili, il terzo è una caratteristica di questa fase, il quarto attiene al masochismo del centrosinistra che si rifiuta di prendere atto che le elezioni comunali sono elezioni presidenziali. L’elettore non storicamente schierato si interessa fondamentalmente al candidato. Per questi elettori il sindaco è un amministratore di condominio: deve far funzionare i tram, togliere la ruera e poco più: solo il candidato quindi può spostare voti dalla parte avversa, può recuperare indecisi e astensionisti, può bypassare le logiche di appartenenza politico ideologica. Sono tanti questi elettori? Sicuramente, se guardiamo alle ultime tornate elettorali, sufficienti per azzerare le differenze tra Letizia e Pisapia.

Ergo se Pisapia vuole vincere non può essere prigioniero della dinamica delle liste, dei partiti dei simboli. I numeri mi danno ragione.

1) Alle ultime elezioni comunali i votanti furono 696.000 con 15.000 nulle, nel 2001 892.000 con 30.000 nulle. Già qui c’è la prima banale indicazione di campagna elettorale circa 170.000 elettori tra 2001 e 2006 non hanno più votato quindi ci sono 170.000 potenziali elettori perlomeno indecisi.

2) Nel 2006 per le liste votarono 70.900 elettori in meno rispetto ai votanti per il sindaco, quindi più del 10% vota solo il sindaco.

3) Sommando i risultati secondo un criterio genericamente di schieramento la Moratti prese una percentuale inferiore a quella delle liste che la sostenevano, Albertini maggiore, quindi la Moratti era un candidato meno popolare del suo predecessore e a detta dei sondaggi e del buon senso la sua popolarità non è aumentata in questi anni.

4) La Moratti prevalse per 33.000 voti su Ferrante un candidato più conosciuto di Pisapia ma con una carica di simpatia (elettorale) pari a quella dell’olio di ricino. Gli elettori per Albertini erano stati 496.000 tutte le opposizioni ne presero 366, quindi il consenso al sindaco di centrodestra è in calo.

5) Alle regionali (ricordiamo a turno unico) del 2010 Formigoni prese il 49%, 46.000 voti più di Penati; gli elettori furono circa 100.000 in meno che alle comunali del 2006. Penati scelse di tener fuori Rifondazione con 16.000 voti ed ebbe contro la Lista Grillo con 20.000 voti. Il miglior risultato alle regionali in città lo ebbe Sarfatti che restò a 13.000 voti da Formigoni, il quale con il 49,8% prese circa 3 punti in meno della sua coalizione, i votanti furono all’incirca gli stessi delle comunali del 2006. In entrambi i casi Formigoni non ha superato il 50% dei voti. Podestà batté Penati per 36.000 al primo turno 47,7% ma al ballottaggio la differenza è stata di 1.754 voti, tra il primo e il secondo turno 158.000 elettori se ne stettero a casa. Quindi in elezioni diverse e in presenza di più candidati (taluni anche sgarruppati) il candidato del centro destra non raggiunge al primo turno la maggioranza assoluta.

Per Pisapia le chances di battere la Moratti al secondo turno sono buone. L’importante è arrivarci, e arrivarci bene non restando schiacciato sulla propria coalizione. In genere si pensa che il centrosinistra sia avvantaggiato al ballottaggio dal calo degli elettori ma le percentuali del calo sono variabili (nel 1997 al primo turno votarono 781.000 elettori al secondo 725.000, una differenza nettamente inferiore che alle provinciali) e nulla fa pensare che il centro destra con un candidato fortemente presente debba soffrirne.

Pisapia deve condurre una campagna che non ricompatti il centro destra come avvenne nel 2001. Tra le elezioni del 1997 e quelle del 2001 che si svolsero assieme alle politiche, gli elettori aumentarono di ben 80.000 unità, elettori indifferenti al sindaco ma interessati alle politiche nazionali; Albertini conquistò, l’elettorato moderato che non lo aveva votato cinque anni prima, ottenendo al primo turno una percentuale più alta di quella che aveva ottenuto al ballottaggio, superando percentualmente la sua coalizione anche alle politiche.

Pisapia in una città con un forte centro moderato riformista ancorché non rappresentato da un partito o lista non può perdere troppi voti a sinistra (evitando l’effetto Penati) anche se può sperare di recuperarli al ballottaggio perché un primo score troppo basso ridurrebbe le chances al secondo turno; deve sfruttare al massimo la novità importante dell’aiuto radicale, l’unico pezzo della sua coalizione che ha capacità di attrarre voti dal centro destra laico e dall’astensione e contemporaneamente deve dialogare con il candidato di un centro a forte venatura cattolica che in questi anni ha collaborato con la Moratti.

Salvo tracolli, il candidato centrista è infatti la garanzia del ballottaggio (la sola UDC è riuscita a prendere in città 18.000 voti alle regionali persino candidando Pezzotta) ma al secondo turno è indubbio che l’elettore di appartenenza UDC o di origine MSI (e di nostalgici tra i futuristi ce ne sono tanti) farà certamente più fatica a votare Pisapia che Moratti. La contraddizione è tutta qui: un avvocato garantista vissuto come più a sinistra del prefetto Ferrante, dell’imprenditore Sarfatti, del politico Penati e forse del sindacalista cattolico Antoniazzi deve riuscire a depoliticizzare la propria campagna elettorale trasformandosi in un credibile amministratore riformatore senza apparire opportunista per i suoi sostenitori della prima ora.

Tutto si gioca sulla strategia della campagna elettorale e sulle modalità di svolgimento che Pisapia sceglierà, sappiamo che esse alle comunali influenzano l’elettorato molto più che alle politiche, perchè l’elettorato di appartenenza è nelle elezioni amministrative meno saldo e più influenzabile mentre l’elettorato d’opinione tende a scegliere il candidato più che lo schieramento. Il centro destra ha avuto fino ad oggi una strategia fissa specularmente opposta: la politicizzazione delle amministrative (scelta di campo), il rifiuto del confronto tra sfidanti, il faccione di Berlusconi sui manifesti anche quando non era candidato. Il centro sinistra quando ha accettato questo terreno, “se vinciamo Berlusconi va in crisi” ha perso.

Oggi la forza di Berlusconi è minore, tant’è che la Moratti cerca il dialogo con i finiani, per questo meno Pisapia parla di coalizione, di liste, di cantieri, di officine meglio è. Correndo un rischio: se è vero che la partita si gioca su quell’elettorato potenziale non schierato, non motivato, indifferente e un po’ qualunquista è anche vero che le liste nella campagna elettorale sono indispensabili per l’apporto di quattrini, strutture, candidati e militanti molto suscettibili e indispensabili. Tocca a Pisapia scegliere la strategia e creare un equilibrio, per ora sembra in ciclisticamente in “surplace”.Sbagliare adesso significa condannarsi a ripetere quello che disse Ferrante: “Si poteva vincere…”.

Walter Marossi



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