25 gennaio 2011

LE VIRTÙ DELL’ECONOMIA DELL’OZIO


“Il lavoro nobilita l’uomo, rendendolo libero”. E’ questa la vera rivoluzione che la regola di San Benedetto, Ora et labora, mise in atto sovvertendo l’antica e scontata differenza classista tra otium e negotium. Quando il primo era prerogativa della nobiltà e il secondo dannato e amaro destino per gli umili o schiavi. Una rivoluzione dal respiro lungo, che ha accompagnato nel corso dei secoli la riscoperta dell’otium quale attività nobile del pensiero, nella contemplazione della verità, delle arti e della bellezza in genere. Rendendo primaria, già nel XV secolo, la necessità a praticarlo e coltivarlo. E che oggi fa dire al professor Stefano Zamagni, docente di Economia Politica all’Università di Bologna, presidente dell’Agenzia nazionale per le Onlus, nonché consulente economico di Benedetto XVI: “Che i tempi sono maturi per vivere il negotium in funzione dell’otium“. In pratica, vivere l’otium come il fine e il negotium come lo strumento per perseguirlo.

L’analisi – lezione del prof. Zamagni ha concluso il ciclo di incontri di Ecotium 2010, sulle diverse declinazioni dell’Etica, presentato dal Distretto Culturale Daunia Vetus, affrontando i temi dell’economia e della dimensione critica che ne attanaglia i contorni nazionali, in una crescita senza occupazione. Una strana crisi, che vede le aziende impegnate nello sforzo di recupero dei ritmi produttivi, senza riuscire a dar vita a un corrispondente incremento di posti di lavoro. Situazione complessa, a cui non basta più il ritornello del superficiale auspicio dell’aumento dei consumi. L’anamnesi dell’economista, nel recupero di una funzione di studium al servizio dell’imperium, risale nelle tradizioni storiche di una Italia “culla dell’economia”, per tornare all’economia civile di mercato e, con Antonino da Firenze (domenicano), alla dottrina sociale della Chiesa.

Per affermare con convinzione: “Se vogliamo veramente mettere al centro il lavoro – inteso come lo intende il Papa, cioè non solo come mera produzione, ma come fattore che forma il carattere degli uomini e definisce la loro identità – dobbiamo rimettere le cose in ordine, incentivando non i consumi, ma i servizi alla persona”. Da Keynes in poi, col modello asincrono delle democratizzazione dell’otium e del negotium, è cresciuta la consapevolezza della funzione vitale di uno Stato sociale. Da cui l’importanza di tendere al concetto di “Paese ricco” più che di “gente ricca”. “Il livello dei consumi”, ha evidenziato l’economista riminese, “non deve diminuire, deve aumentare, ma bisogna cambiarne la composizione: meno consumo di merci e più consumo di beni relazionali. In un Paese come l’Italia, col tasso più basso di natalità in Europa e con un indice altissimo di età media (anziani), risulta irresponsabile non produrre abbastanza servizi alla persona”.

Una frontiera ricca di opportunità, perché non solo nella cura sanitaria, ma anche nella cura educativa, culturale, artistica, sportiva e in tutto ciò che fa crescere la persona, ci sono larghi segmenti ad alta densità lavorativa e stimolanti potenzialità occupazionali. Dato che nessuna macchina potrà mai sostituire il servizio di cura. “Assistenza, sanità, cultura, istruzione, nel corso dei secoli è stata la Chiesa la grande committente di queste diverse forme di bellezza“. Con l’introduzione nel 2001 del principio di sussidiarietà nella nostra Carta Costituzionale (artt. 118 e 119), l’odissea nello spazio della solidarietà ha varcato le Colonne d’Ercole di un volontariato che sussidia l’ente pubblico, per cui Zamagni deduce che: “E’ tempo di invertire i ruoli. Sia l’ente pubblico a sostenere i soggetti della società civile, per la piena realizzazione degli obiettivi di bene comune”.

Un’armonica sintonia con “la solidarietà di fatto” del cardinale Dionigi Tettamanzi, che non si esaurisce nelle intenzioni e nei sentimenti, ma si esprime nella concretezza del vissuto quotidiano. “Perché solidarietà ed etica sono imprescindibili l’una dall’altra. La solidarietà deve sapersi muovere nella complessità dei cambiamenti e delle difficoltà d’oggi. E l’etica è lo strumento per questo discernimento”, sottolinea l’Arcivescovo di Milano. “Soltanto l’etica, infatti, mette l’uomo in condizione di scegliere nella direzione del bene. Solidarietà ed etica insieme, dunque, ci condurranno all’uscita dalla crisi. Non c’è futuro senza solidarietà”.

La “via italiana” del prof. Zamagni, per far fronte alla crisi perdurante, oltre a riportare l’unità di misura “famiglia” al centro delle attenzioni della società, mira a un sostanziale cambiamento dei modelli di sviluppo e dello stile di vita. Evitando le suggestioni effimere della cosiddetta “decrescita”, per combattere piuttosto: “la battaglia a favore della philokalia, dell’amore per il bello, che deve essere a portata di tutti, anche degli ultimi”. Cambiare il modello di società, per tornare a un sano umanesimo civile. “In Italia”, insiste Zamagni, “la tradizione della philokalia non ha rivali, ma esige organizzazione: nel nostro, come in nessun altro Paese al mondo, la bellezza non è solo paesaggio naturale, ma anche bellezza artistica, letteraria, pittorica, musicale, teatrale e relazionale. Ogni popolo ha la sua identità, e noi dobbiamo sfruttare di più la nostra, invece che andare a rimorchio di altri modelli che ci sono estranei”.

Ora, per dedicarsi di più alla famiglia, alla sua sana formazione e corretta evoluzione, e per curare meglio quel lavoro che ci rende liberi, quale negotium strumento nobile del fine gratificante dell’otium, al mosaico policromatico del professor Zamagni, manca un’ultima tessera. La più innovativa: ” la flessibilità intertemporale del lavoro”, quella indispensabile per “uscire dal vortice dell’infelicità diffusa, nonostante l’aumento degli indicatori di ricchezza e di reddito”. Consentire, in altre parole, una maggiore vivacità alla monotonia da Tempi moderni della vita lavorativa di ognuno. Per riciclarsi, rimotivarsi e riacquisire una produttività utile alla crescita comune o collettiva, attraverso quella personale o individuale. Una riforma previdenziale che consenta l’apertura di parentesi virtuose nell’attività occupazionale di ciascuno, per coltivare passioni e interessi diversi, senza perdere diritti acquisiti. Un otium riqualificante da praticare nel pieno delle forze e non a tempo scaduto, quando “cambiare il proprio piano di vita” diventa ormai impossibile.

Un recupero del tempo libero che dall’altra parte dell’emisfero, quella dove vivono con la testa all’ingiù, vive già una sua declinazione nel Downshifting o “scalare marcia”. Già identificato anche da Wikipedia come: “La scelta da parte di diverse figure di lavoratori di giungere a una libera, volontaria e consapevole riduzione del salario, bilanciata da un minore impegno in termini di ore dedicate alle attività professionali, in maniera tale da godere di maggiore tempo libero”. In pratica, guadagnare meno per “vivere” di più, evoluzione moderna del “mangiare per lavorare” (e non il contrario). Per concludere e tener viva la Speranza di una platea affollata e rapita, da una sorta di lectio magistralis “sostenibile”, Stefano Zamagni cita Sant’Agostino e l’indicazione delle due punte figlie della virtù simboleggiata dall’Ancora, per esortare a una sana Indignazione verso le miserie del degrado sociale e a un risoluto Coraggio nel riscoprire i valori nobili della povertà e della semplicità, che diventano autentica ricchezza del patrimonio comune essenziale.

 

Antonio V. Gelormini



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