18 gennaio 2011

MILANO DA BERE O DA SENTIRE?


Volenti ma spesso nolenti viviamo immersi nella musica e con qualche notevole differenza anche generazionale. Ci sono due modi di ascoltarla: immergendovisi ed escludendo altro dalla nostra mente e dai nostri sensi o semplicemente amandola come sottofondo di altre attività personali spesso manuali e ripetitive ma anche intellettuali. L’avvento delle tecnologie di miniaturizzazione ora permette l’ascolto in cuffia ovunque e senza limitazioni e solo qui si manifesta la differenza generazionale: questo tipo di ascolto concerne essenzialmente i giovani e i giovanissimi.

Ma c’è di più: piaccia o non piaccia ai compositori e agli esecutori la maggior parte dell’ascolto tra i giovani è frutto di pirateria informatica. Infiniti piccoli Assange violano le barriere e mettono a disposizione della rete praticamente tutto: musica classica, leggera, passata e presente magari montati in forma di brevi video. Da ultimo tutta la musica diffusa in locali pubblici, strade, piazze, stazioni e ovunque vi sia folla da intrattenere o da attrarre. Dunque musica, musica, sempre musica. Non solo per essere ascoltata ma anche per trasmettere messaggi, soprattutto nel caso di messaggi politici, da sempre un ruolo tipico della musica popolare, dai canti di protesta espliciti ai canti di sofferenza e di rimpianto – soldati, operai, emigranti – alle canzoni di regime o di satira politica e di contestazione.

Anche la musica operistica ha assunto questo ruolo in particolare nel Risorgimento e anche prima un’occhiuta censura impediva la messa in scena di opere che in qualche modo potessero essere lette come irrisione o critica del potere costituito o della religione di Stato. Il primo a scoprire la funzione propagandistica della musica fu Mussolini, che pure per primo utilizzò massicciamente la radio e oggi non gli è da meno Berlusconi. In ogni caso questa funzione di veicolo per messaggi politici ora sembra essersi molto attenuata nella musica e la parte del leone la fa la televisione dove musica e immagine si fondono. Eppure la musica non ha perso interesse per la classe politica, non come veicolo di messaggio ma come occasione per fornire svago e divertimento alla gente pensando di averne un ritorno d’immagine e, di conseguenza, di voti: concerti all’aperto in piazza e negli stadi ai quali accorrono migliaia di giovani, a seconda del programma e dei cantanti,ma anche i meno giovani.

Probabilmente questo tipo di spettacolo, spesso a carico delle pubbliche casse, è diventato attraente, quasi una forma di dipendenza legata al bisogno di avere una sorta di colonna sonora che ci accompagni dalla sera alla mattina. I sociologi urbani dovranno occuparsene: Milano nelle strade, nelle piazze, nei mezzanini e nei convogli della MM è sempre più popolata di zombi con le cuffiette che, lo sguardo perso, vagano nelle ore di punta da casa a scuola o al lavoro e viceversa.

Che cosa c’è dietro? Forse il bisogno di una specie di quinta dimensione che aggiunga spazio al tempo reale occupato da situazioni sgradevoli, faticose ma inevitabili in una vita che non si realizza mai. Se lo guardiamo da un altro punto di vista, un tempo e un’attività cerebrale dispersi nel nulla: uno spreco. Ecco perché, come si dice in altre parti di questo giornale, l’educazione musicale potrebbe riscattare questo spreco inducendo a un ascolto che non sia solamente passivo. Solo allora il chiudere le orecchie con una cuffietta e isolarsi dai rumori – fastidiosi – della città avrebbe un senso.

 

L.B.G.



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