14 dicembre 2010

Scrivono vari 15.12.2010


Scrive Cesare Serratto a proposito dell’intervista a Paolo Biscottini – Sono d’accordo su quanto dice Paolo Biscottini sul Museo del Novecento, condivido con lui la gioia di avere a Milano un nuovo museo ma anche la necessità della critica. Non entro nelle considerazioni sulle opere esposte e sul loro ordine anche se le condivido, come ad esempio il fatto che il Quarto Stato sia esposto male e non si capisca il nesso con le altre collezioni. Soprattutto sono d’accordo con le critiche che Biscottini fa all’architettura del Museo: l’impressione avuta durante visita è di spazi angusti e sconnessi che non indirizzano e non guidano il visitatore perché mancano di logica e senso. Spazi che non consentono la giusta distanza di osservazione delle opere: basta allontanarsi di due metri per avere tra sé e l’opera il flusso dei visitatori che altrimenti non avrebbe dove passare; altri spazi non sono utilizzati o sprecati come nel caso del piano terreno sacrificato alla rampa o all’esposizione di bambù e orchidee. Unica eccezione l’ultimo piano dell’Arengario, ma solo perché è rimasto leggibile lo spazio originale, che il soppalco nero con le opere di Fontana (ma perché nero? Si chiede giustamente Biscottini) non riesce a nascondere.

Finalmente, dopo il fastidio di questi spazi, si arriva al collegamento con Palazzo Reale: bella la passerella, bella la prima stanza coi lucernari e belli gli spazi restaurati da Belgiojoso, che avevo già ammirato quando erano occupati dalla Soprintendenza: finalmente qui comincia il MUSEO, inteso come momento di “comunicazione culturale” (per usare l’espressione di Virgilio Vercelloni) e non più come “evento” o strumento di marketing urbano. Il fastidio dato dalla ristrutturazione dell’Arengario diventa dispiacere se si ricordano gli spazi originali, la forza, la bellezza, il valore storico di quell’architettura metafisica, che si sarebbe potuta salvare e riconvertire con maggior coerenza alla nuova destinazione, invece di sacrificare tutto all’attualità, all’estetica dello spettacolo e del commercio.

Molte delle opere esposte al Museo del 900 le ho viste per la prima volta al CIMAC e ancora ricordo l’impressione che mi avevano fatto, e come quegli spazi, spogli ed essenziali, le facessero risaltare in tutta la loro bellezza. In seguito ho pensato molte volte a quell’esperienza: quello dell’esposizione dell’arte é un grande e difficile tema, e sono arrivato alla conclusione che l’unico modo per affrontarlo sia la modestia: modestia come misura, ritegno, umiltà e abbandono di ogni protagonismo. Il Museo del 900 invece sposa il “trend” privilegiando gli aspetti più legati all’esperienza emozionale, alla spettacolarità, al protagonismo dell’architettura, in linea con la maggior parte delle realizzazioni in questo campo degli ultimi venticinque anni; ma chiedere qualcosa di diverso, più nuovo, oggi a Milano, sarebbe una pretesa eccessiva.

 

Scrive Giuseppe Ucciero a Guido Martinotti – Non mi sono mai piaciuti i ping pong dialettici, nel corso dei quali, più che approfondire i temi, i duellanti cercano di tenere il punto. Ringrazio Guido Martinotti delle sue, pur cartavetrate, considerazioni, condividendo il suo invito per un allargamento del discorso ad altri interlocutori. Solo una premessa e una raccomandazione: del rapporto tra laici e cattolici in generale sono piene la nostra storia, letteratura e saggistica, e non credo che potremo aggiungere qualcosa di nuovo.  Pragmaticamente, raccomanderei di mantenere l’angolatura specifica della questione, ossia se e in che modo questa relazione può incidere sulla ns. limitata vicenda comunale, aiutando il Candidato Pisapia a coglierla e a svilupparla nel modo migliore. Cordialità.



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