30 novembre 2010

CATTELAN: IL DITO NELL’OCCHIO DEL SINDACO MORATTI


Chi non avesse ancora potuto vedere la monumentale mano marmorea di Cattelan con le quattro dita mozzate, sistemata su un alto piedistallo al centro della piazza degli Affari a Milano, si affretti a farlo. Non è infatti escluso che Silvio Berlusconi ordini al ministro della cultura Sandro Bondi, magari come estremo atto del proprio governo, di ripristinare le dita mancanti con appositi posticci in resina, come ha preteso di fare con il gruppo marmoreo di Marte e Venere, che proprio ha fatto trasferire dal Museo delle Terme di Diocleziano al cortile d’onore di Palazzo Chigi per deliziare il premier cinese Wen Jiabao e soprattutto la propria grande sensibilità artistica.

Il ripristino delle dita mozzate consentirebbe di mettere almeno a tacere la sterile polemica tra fautori e detrattori della scultura del grande provocatore – che anche questa volta ha colpito nel segno guadagnandosi una notorietà a scala planetaria – non tanto perché annullerebbe la presunta oscenità del gesto, peraltro tutto da interpretare, trasformandolo in un ancor più osceno saluto romano, quanto perché porrebbe fine all’insipienza e supponenza con cui i nostri politici hanno trattato il caso. I quali, privi di qualsiasi strumento culturale per coglierne il carattere polisemantico, si sono dovuti ricredere di fronte al fatto che i milanesi, che spero si accorgano di non meritarsi simili amministratori sebbene li abbiano eletti, per nulla scandalizzati si affollano a visitarla.

I posticci alle statue di Marte e Venere e le dispute riguardanti il dito di Cattelan rappresentano casi emblematici della condizione di degrado della cultura pubblica nel nostro paese. Degrado che a Milano si fa di giorno in giorno più cruciale, visto che il sindaco Moratti e la sua giunta danno quotidianamente prova di voler attuare una politica di ingerenza e censura, connotata da ignoranza e superficialità, che deprime non solo l’ambiente culturale ma la società civile nel suo complesso. Una politica culturale che manifesta i suoi nefasti influssi non soltanto nei confronti delle espressioni propriamente artistiche dell’arte contemporanea, ma che influisce anche sulle politiche sociali nei confronti dei cittadini extracomunitari, dei giovani dei centri sociali, della scuola pubblica e privata e dell’università.

Una politica culturale, confermata da recenti dichiarazioni del sindaco Moratti che si propone di impedire ai 120.000 cittadini di fede musulmana, di varie nazionalità, che vivono e lavorano a Milano di poterla praticare dignitosamente in luoghi di culto adeguati, dotati di quei requisiti di agibilità, sicurezza e decoro che la manifestazione dei propri fondamenti culturali ancor prima che religiosi richiede. Una politica culturale immaginaria che crede di poter realizzare il nuovo museo delle arti contemporanee di cui si parla da decenni, all’interno del discusso insediamento di City Life, senza tenere conto della grave crisi del settore delle costruzioni. Del progetto di Liebeskind, originariamente di 18.000 mq, ridotti successivamente a 8.000 mq, non si sente infatti più parlare ormai da mesi, mentre si hanno notizie sempre più allarmanti delle difficoltà di Ligresti e delle sue consociate immobiliari.

Una politica culturale che, nel caso in cui il nuovo piano regolatore venga approvato, consentirà un totale stravolgimento del paesaggio urbano e quindi dell’identità della città, generando da un giorno all’altro, e dal nulla, dodici milioni di metri quadrati di nuova edificazione. Un paesaggio urbano il cui skyline di improbabili grattacieli è stato spudoratamente celebrato appropriandosi del titolo del capolavoro di Boccioni del 1910 “La città che sale”. Una politica culturale che ha potuto proporre di spostare il monumento dedicato a Sandro Pertini di via Crocerossa, progettato da Aldo Rossi, per far posto a un edificio al servizio di una galleria d’arte privata di proprietà dei rampolli di Berlusconi e di Mondadori, salvo ricredersi di fronte alle proteste dei cittadini.

Una politica culturale che acconsente che piazza del Duomo, il luogo più rappresentativo dell’identità civile e religiosa della città, sia perennemente ingombra da installazioni commerciali e che anche in occasione delle prossime festività, oltre a svariate altre installazioni commerciali, Tiffany vi possa realizzare un padiglione di gioielleria a forma di un enorme e grottesco pacco dono, in spregio all’integrità architettonica della piazza e al significato culturale del luogo. Milano, che in un passato non lontano è stata esempio del ruolo importante che la cultura può assumere per lo sviluppo e per l’identità di un’area metropolitana, svolge ormai soltanto una funzione di città-vetrina, di città della promozione e del mercato, soprattutto nel campo del lusso e della moda.

Vi è stato un tempo in cui Milano era perfettamente integrata nel dibattito culturale internazionale, un punto di riferimento fondamentale per il mondo della cultura capace di irradiare idee e risultati; Milano fino a pochi decenni fa era un riconosciuto luogo di ricerca, di sperimentazione artistica, un laboratorio aperto agli stimoli provenienti da altri paesi, alle cui ricerche d’altra parte contribuiva con apporti significativi. Nella attuale deprimente situazione della nostra cultura pubblica il dito che drammaticamente si erge sulla gigantesca mano mutilata di Cattelan più che un insulto alle istituzioni della finanza, che l’edificio della borsa di fronte al quale si erge rappresenta, è invece sicuramente un dito nell’occhio dell’attuale sindaco di Milano e della sua giunta.

Emilio Battisti



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