12 ottobre 2010

LA BALENA ROSSA NEL GRAN MARE DELLE PRIMARIE


 

Queste prime battute attorno alle primarie del Candidato Sindaco hanno messo a fuoco alcuni temi che, pur nell’attualità stringente, rimandano ad alcune questioni più strutturali della condizione di iscritti e dirigenti del PD, di semplici simpatizzanti o di donne e uomini di centro sinistra.

Una prima questione riguarda il comportamento del Gruppo Dirigente del PD.

Si dice, e tra questi il mio Direttore, che il partito avrebbe dovuto astenersi dall’esprimere una preferenza per questo o quel candidato, posto che questo predeterminerebbe l’esito di una competizione che dovrebbe essere ad armi pari.

Questa posizione non riesce a convincermi, per una semplice considerazione: queste di Milano 2010 non sono Primarie di Partito ma Primarie di Coalizione. Sono una competizione nella quale non si tratta di scegliere un rappresentante del PD, ma piuttosto un rappresentante di un ventaglio di forze di centrosinistra, ciascuna delle quali esprime un proprio candidato. Che a un appuntamento di questo genere il PD si presenti a mani nude, lasciando fare ad altri, è non solo una beata illusione, ma soprattutto la pretesa che un gruppo dirigente rinunci alla sua stessa funzione, alla sua raison d’étre. La cosa è tanto vera e tanto legittima che, degli altri partiti interessati alla vicenda, alcuni (SEL e Rifondazione Comunista) hanno ancor prima del PD specificamente indicato in Pisapia il loro campione, e altri, per decisione dei soli propri gruppi dirigenti, hanno deciso di non competere IdV). E anzi, a ben vedere, il Pisapia si è incoronato egli stesso candidato, senza che vi fosse indicato preliminarmente da alcuna forma di raccolta del consenso: altro che primarie….

Ma nessuno si è alzato a contestare questa decisione politica, prima personale e poi partitica, attiva o passiva che fosse. Per quale motivo allora l’esercizio di una funzione politica tanto essenziale dovrebbe essere negata al PD ed essere ammessa per altri?

Qualcuno però potrebbe osservare che la scelta del candidato del PD alle primarie avrebbe dovuto, a sua volta, essere l’esito di una sorta di “preprimaria”, per consentire agli iscritti del PD di manifestare la propria preferenza. L’obiezione in astratto non è priva di un qualche fondamento, ma temo abbia poco a che fare con un minimo di spirito pratico. I tempi della politica, impongono decisioni tempestive in condizioni complesse e non collimano sempre con quelli della raccolta del consenso. D’altra parte fare una “primaria di partito” prima delle “primarie di coalizione” suonerebbe stucchevole e ridondante. Per questo, il PD non poteva e non doveva rinunciare alla sua funzione di partito, che non consiste nella condizione notarile di chi registra asetticamente consensi su carta pergamenata, ma piuttosto di chi si assume l’onere e l’onore di compiere scelte per conto dei suoi rappresentati. Se così non fosse, la stessa funzione di Partito e di Gruppo Dirigente di un Partito non avrebbe letteralmente senso.

Si dice poi, pur non negando in principio la legittimità dell’esercizio di tale funzione politica, che sarebbe meglio che ora il PD non facesse pesare la sua massa, organizzativa e di consenso, in modo da non “influenzare” la libera formazione della scelta del candidato.

Onestamente, di fronte a queste considerazioni non si può che trasecolare.

Ma se non fa pesare la sua massa e la sua organizzazione, cosa che ci sta a fare in generale un Partito, e in modo specifico il PD? Sempre che la “pressione” sia nei limiti della correttezza, non si vede come questa possa danneggiare un libero dibattito e l’altrettanto libera espressione del proprio consenso. Se svolgessimo queste stesse considerazioni su scala generale, dovremmo giungere alla determinazione finale che il partito in sé, come forma di organizzazione della volontà pubblica, è dannoso alla democrazia, e questo, pur nella scarsa qualità degli attuali partiti, suona inappropriato e assai scivoloso. In realtà, se un rimprovero si deve fare al PD non è che decide, ma semmai che troppo spesso non decide, e quindi non incide, intrappolato com’è in una perenne guerriglia tra fazioni che badano sempre più al “particulare” piuttosto che al bene comune. In politica, che è pur sempre un conflitto con qualcuno che, mentre pensi e soppesi, ti dà i calci negli stinchi, vi è sempre un limite all’estensione delle forme della democrazia interna e questo limite è l’efficacia delle decisioni: un partito che passa tutto il suo tempo a raccontarsi, misurarsi e dilaniarsi tra lotte intestine, è un partito che ha perso il contatto con la società, è un eunuco politico.

E dico questo, nella piena scienza degli enormi limiti che l’attuale processo di selezione genera su questo gruppo dirigente, a seguito di meccanismi elettorali di partito a dir poco distorsivi della sua effettiva rappresentanza.

E del resto, proprio questa relazione perversa tra difetto di rappresentanza e perenne competizione interna forma il terreno elettivo su cui fioriscono comportamenti che, non si dice il caro vecchio PCI, ma un qualsiasi partito che intenda essere tale, non tollererebbe un istante.

Non di Veltroni si parla qui, ma del caso assai più limitato di Davide Corritore, che, essendo dirigente del PD, e come tale particolarmente tenuto a osservare la decisione collettiva, non si perìta di dire che non si ritiene vincolato per nulla da questa. Per Davide Corritore, come per altri, il PD è come un vecchio nonno un po’ rincoglionito che ogni tanto ti dà dei consigli, ma che non va tanto preso sul serio: e, a dire il vero, se gli si sta vicino sarà certamente per un po’ di affetto, ma sono i suoi beni al sole che davvero li interessano. La sua organizzazione, i suoi voti, la sua relazione persistente anche se sempre più debole con quanti non vivono nella prima cerchia dei Navigli, questa è la sua eredità e questo il loro primario interesse.

Ma se si scopre alla fine che questo vecchio nonno, che sarà pure rincoglionito ma sa pesare ancora le persone, preferisce altri e a questi destina la sua eredità, allora che vada pure a ramengo: ci si giocherà la partita con qualche altro, magari con quella vecchia zia di Milano, un po’ eccentrica ma che qualche bene al sole ce l’ha anche lei. Così, deluso dall’esito fallimentare di tanti tentativi di accreditamento, disinvoltamente praticati qua e là, disgustato dal retrogusto che tutti i rospi finora ingurgitati finalmente gli “tornano su” (ah il delizioso assist al brontosauro Draghi, campione dell’innovazione), il buon Corritore saluta la compagnia e va a fare campagna elettorale con il principale concorrente, scelto da altri partiti, contro il candidato scelto dal suo partito.

Se ci fosse lui, cara Lei, si dice ancora ogni tanto negli scompartimenti ferroviari…

Se ci fosse ancora un Partito serio, oppure diciamo normale, quella normalità che vuole che in un’organizzazione, fosse pure la Bocciofila di Turro, il singolo si sottomette alla decisione della maggioranza, Davide Corritore avrebbe già ricevuto una raccomandata senza obbligo di risposta che lo informerebbe delle conseguenze inevitabili della sua scelta.

Vada pure il Davide Corritore, “risorsa preziosa” del centro sinistra in servizio permanente effettivo, ad accreditarsi dove meglio gli aggrada, ma stia attenta anche la vecchia zia di Milano, tenga d’occhio i suoi beni, che lui, il giovane Corritore, di suo ha solo la gioventù, e neanche più tanto quella.

 

Giuseppe Ucciero



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