12 ottobre 2010

UNA FERROVIA VERDE ATTORNO A MILANO?


 

Chi non li conosce, i rilevati ferroviari che impongono alla città delle interruzioni, dei tagli sia funzionali che visivi, quasi sempre accompagnati da un degrado derivante dalla poca o inesistente manutenzione, da orti urbani improvvisati e da alberi cresciuti “abusivamente”? Fino a pochi anni fa considerati semplicemente ambiti da riqualificare oggi sono sempre di più gli ambiti da difendere da una riqualificazione ‘tout court’.

L’esempio di Via Filarete, dove i residenti difendono a spada tratta gli alberi del cielo, Ailanthus altissimi, cresciuti per lo più spontaneamente sui rilevati ferroviari, ci può insegnare qualcosa, ossia quella spontaneità espressa da una vegetazione poco ornamentale ma molto efficace che é diventata oggetto dell’attenzione dei cittadini. Questi infatti ormai sembrano fidarsi di più della natura che delle varie Amministrazioni che la vogliono sostituire nella sua incalcolabile liberta di fondo. Se da via Filarete si allarga lo sguardo a tutto il territorio milanese e lo si confronta con lo sviluppo storico della città, si nota chiaramente come oggi città e infrastruttura sono cresciute come sistemi circolari paralleli e assi di penetrazioni interni sostanzialmente distinti fra loro.

Le prime linee costruite entravano fino nel cuore di Milano e ora i loro sedimi costituiscono fondamentali vuoti per lo spazio pubblico della città e per lo sviluppo urbano: l’asse verde di via Dezza che culmina ai giardini di Pagano a sud-ovest e le Varesine a nord-est ne sono ad esempio. Tra la fine dell’800 e la fine della II guerra mondiale, con lo sviluppo industriale, le ferrovie si sono notevolmente sviluppate creando un sistema capillare circolare che andava a intercettare tutte le principali aree industriali della città. Basti pensare a Nord le aree della Bicocca o a Est le grandi industrie della Maserati oppure a Sud la OM. Contemporaneamente al potenziamento di queste linee si sono strutturati i principali scali come quello di Porta Romana, Grego e Farini o Lambrate che oggi lasciano più di 128 ha di vuoti urbani.

Dalla seconda metà del secolo scorso con lo spostamento del traffico commerciale su gomma e con la successiva dismissione delle grandi industrie, si è giunti a un graduale svuotamento di flussi su questi tracciati. Oggi quindi Milano si ritrova con un sistema ferroviario, eredità del passato, usato principalmente come mobilità per il trasporto pubblico. Tutte le linee culminano nelle tre stazioni ponte decentrate a Nord e a Est: la stazione centrale per quanto riguarda tutto il flusso nazionale e internazionale, stazione Garibaldi e stazione Cadorna per il flusso regionale. Anche il flusso a Sud-Est è coperto dalla stazione di San Cristoforo dove verrà raddoppiata la linea Milano-Mortara. Le linee della ferrovia collegano e unisco tutte le stazioni definendo un anello: su questo anello si attestano diverse stazioni passanti come Lambrate, Dateo, Repubblica, Rogoredo e Romolo, ecc, alcune delle quali collegate anche dalla metropolitana.

Oggi la città si ritrova quindi con un diffuso sistema di rilevati ferroviari in disuso insieme a sette scali collocati in posizioni strategiche. Una rete che ora rappresenta una ferita nella città, un limite quasi invalicabile, soprattutto percettivo, in quanto divide la città in ciò che sta ‘dentro’ e ciò che sta ‘fuori’. Un territorio continuo scorre negli spazi interstiziali di queste linee creando una città dentro la città. Per una città che ha già compiuto l’errore di eliminare quasi completamente il suo sistema d’acque che la caratterizzava e la rendeva unica, sovrapponendovi il principale sistema stradale, ritengo che non possa permettersi di non cogliere la grande sfida del riuso di questi sedimi per creare finalmente un unico grande sistema continuo di mobilità lenta nel verde.

Parallelamente allo sviluppo voluto dal Piano del Governo del Territorio del trasporto pubblico su ferro come circle line, potenziando le stesse linee ferroviarie esistenti con molte fermate intermedie, che a loro volta intercettano il sistema pubblico in entrata alla città, si realizzerebbe quindi una rete di piste ciclabili e percorsi pedonali nel verde, facilmente collegabili ai Raggi Verdi che incanalano la natura verso il cuore della città. Le stazioni della circle line insieme all’anello ferroviario diventerebbero dei veri e propri poli di interscambio tra la città metropolitana e la città consolidata, sgravando notevolmente il numero delle macchine in entrata della città. Questo comporterebbe una drastica diminuzione del traffico che porterebbe a un conseguente e immediato riduzione delle polveri sottili. Oltretutto una riduzione delle macchine dei pendolari libererebbe la città dagli infiniti parcheggi abusivi che finalmente potrebbero ritornare ad avere la funzione di parchi lineari, strategici per la città.

Molti sono i modelli internazionali da prendere ad esempio come scenari di sviluppo, ma ritengo emblematici i casi di Berlino per come ha saputo coniugare il trasporto pubblico veloce della città con il sistema ferroviario in entrata e uscita e il caso di New York. Quest’ultima è ormai diventata un simbolo per come ha saputo trasformare la High line, da linea abbandonata da abbattere in uno dei luoghi più usati e visitati del mondo. Un esempio illuminato di riuso del materiale stesso della linea ferroviaria non snaturando la sua natura di elemento lineare simbolo della velocità.

Ed è proprio questo che sembra stia alla base della proposta di via Filarete, di cui ne risentono maggiormente i cittadini, ovvero un autentico cambio di rotta, considerando i rilevati ferroviari non più una ferita da bonificare ma soprattutto un’occasione da potenziare.

Un’occasione non solo per gli alberi, che nel frattempo sono cresciuti e naturalizzati al loro meglio, ma anche per i cittadini che, con qualche nostalgia di fondo, guardano ai ‘propri’ rilevati ferroviari come ultima opportunità per sfuggire dal rigore della cultura della cementificazione.

 

Andreas Kipar



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